Mercoledì 17 Aprile 2024

Mr Carloni, papà di Kung Fu Panda: "Disegno sogni a Hollywood"

Ha 38 anni e viene da Urbino il regista del kolossal DreamWorks

 Alessandro Carloni, regista di Kung Fu Panda 3 (Afp)

Alessandro Carloni, regista di Kung Fu Panda 3 (Afp)

Urbino, 14 marzo 2016 - ALESSANDRO Carloni esce soddisfatto dalla pizzeria “Il Buco” nella piazza di Urbino. «Missione compiuta – dice – ho comprato un po’ di crescia sfogliata per la mia super scorta che conservo in frigo a Los Angeles. In California è impossibile trovarla». Il regista di “Kung Fu Panda 3”, nato a Bologna città della madre ma cresciuto a Urbino, la città del padre, ha visto con la coda dell’occhio che il Cinema Ducale ha già in programmazione il suo ultimo lavoro, il kolossal DreamWorks a cartoni animati diretto con Jennifer Yuh. Dalla piazza d’Urbino al red carpet di Hollywood – calpestato a 38 anni come le vere star – il salto è siderale. Eppure pare quasi la logica conseguenza della sua storia. «Mio padre Giancarlo, artista e animatore, viene dalla Scuola del Libro», racconta. E questo spiega molto perché in quell’istituto nei lontani anni ’50 venne istituita la prima scuola per cartoni animati in Italia. Generazioni di autori sono partiti da lì, come il padre di Alessandro che dagli anni Sessanta fu tra i protagonisti della grande stagione del cinema d’animazione italiano. Oggi sono entrambi membri dell’Accademia Raffaello e non perdono il gusto di girare insieme per i vicoli d’Urbino.

«LA MIA famiglia vive ancora nella casa in cui è nato mio babbo. Abbiamo ancora le foto di lui che gioca a un anno sullo stesso pavimento in cui ho giocato anche io. Eravamo in campagna, nella frazione di Torre San Tommaso. Giocavo nei campi con mio cugino Carlo e ci divertivamo a far rotolare le balle di fieno giù per i campi».

E come è finito a Hollywood?

«In realtà studiai a Milano perché là era lo studio di animazione di mio padre. Stavo terminando il liceo artistico quando in estate andai a soli 17 anni a Monaco di Baviera dove c’era una società che partiva con l’animazione. Lì ho iniziato a fare film».

Senza nostalgie...

«Gli americani dicono che città come Urbino sono una gabbia d’oro, un posto bellissimo ma che ti può tenere in trappola. Io quell’aspetto di Urbino non l’ho mai sentito perché sono stato a Urbino, poi a Milano, poi in Germania, Danimarca, Inghilterra e infine in America. Quindi torno qui perché estetica e bellezza sono dentro di me».

Lei è vissuto tra artisti...

«Sicuramente. A partire da mio padre e poi tutti i suoi amici. Ho sempre disegnato e anzi mia mamma ha notato che nei libri delle elementari facevo i disegnini negli angolini che diventavano animazioni facendoli scorrere rapidi».

Quindi voleva fare l’animatore?

«No. Come tutti coloro che nascono con genitori che fanno un certo mestiere ne volevo fare un altro, ovvero l’autore. Scrivevo storie brevi e riuscii anche a venderne qualcuna».

La svolta avvenne in Germania?

«Sì. Gli animatori facevano i disegni chiave e io ero lì come altri per fare le “intercalazioni”, le immagini tra un movimento iniziale e uno finale. Alla fine abbracciai l’idea di raccontare le storie con i disegni, già nel 1995».

Quindi lei non è arrivato al cinema facendo cortometraggi in cantina.

«Proprio no. Ho avuto questa fortuna: lavorare subito. Quindi prima di essere artista sono diventato professionista. E questa è considerata un’arma a doppio taglio».

Perché?

«Alcuni pensano che non ho potuto sperimentare da solo. In realtà ho espresso la mia arte prima e in modo più efficace. Un artista deve poter diventare un professionista; in America funziona, chi fa cinema fa un lavoro come un dentista o un avvocato. In Italia chi fa l’artista pare che abbia un hobby e l’industria di questo ne risente».

Quanto pesano le sue radici nella sua formazione?

«Tutto quello che so a livello professionale non l’ho imparato in Italia, ma all’estero. Però devo essere sincero: sicuramente a livello di intuito e istinto quello che mi è rimasto dentro è quello che esiste tra queste mura, quello che appare in questi luoghi. Anche a livello di sensibilità io sono più attratto da immagini simboliche, intime e minimaliste. Ho una sensibilità europea, italiana».

Farebbe un cartone animato su Raffaello?

«È un personaggio da cartone animato. Ma quanti problemi sorgono coi personaggi storici. Tutti ti attaccano perché si è accusati di imprecisioni a causa delle tecniche di narrazione».

Con chi vorrebbe lavorare tra gli italiani?

«Raphael Gualazzi. È urbinate come me e mi piace molto».