Delitto Bellucci, l'accusa: "Confermare la condanna a 30 anni per Ciccolini"

L'avvocato veronese alla sbarra nel processo d'Appello davanti alla Corte d'Assise di Trento per l'omicidio dell'estetista di Pergola. La difesa chiede una nuova perizia psichiatrica sull'imputato. Si torna in aula il 22 giugno FOTO La lettera e il delitto

Lucia Bellucci e Vittorio Ciccolini

Lucia Bellucci e Vittorio Ciccolini

Trento, 15 giugno 2015 - L'accusa ha chiesto la conferma della condanna a 30 anni di carcere per Vittorio Ciccolini, l’avvocato veronese che il 9 agosto del 2013 ha ucciso l’ex fidanzata Lucia Bellucci, la 31enne di Pergola che dirigeva un centro benessere a Madonna di Campiglio.

Davanti alla Corte d’Assise di Trento si è svolto il processo d’appello. Si torna in aula il 22 giugno. La difesa ha chiesto una riapertura del dibattimento e una nuova perizia psichiatrica per l'imputato.

Quattro fendenti sferrati con un coltello da marines, il primo dritto a cuore, per i quali nell’ottobre scorso Ciccolini, 47 anni, ha avuto in primo grado 30 anni di reclusione (evitato l’ergastolo grazie al rito abbreviato). Con le aggiunte, per altro, dell’interdizione dai pubblici uffici e del risarcimento delle parti civili: 190mila euro al babbo della vittima, Giuseppe; 164mila alla madre Maria Pia; una provvisionale di 25mila ciascuno al fratello gemello Carlo e alla sorella Elisa; 15mila al fidanzato Marco Pizzarelli, medico catanese; e 15mila anche all’ex marito, l’imprenditore di Pesaro Paolo Cecchini. 

Questo perché Ciccolini è stato riconosciuto colpevole di omicidio premeditato, con le ulteriori aggravanti dei ‘motivi futili e abbietti’ e della ‘minorata difesa’. Venti giorni fa Ciccolini ha mandato una lettera dal carcere ai genitori di Lucia spiegando di provare «profonda vergogna», ma in cui manca una esplicita richiesta di perdono e in cui, soprattutto, alcune frasi risuonano come il tentativo di far passare una condizione di incapacità di intendere e di volere durante l’efferato delitto: «Possa in questo momento attestarsi il compimento, imperfetto ma avviato, dell’uscita da una condizione minorata, al cui interno e per la quale ho agito e dalla quale sono stato agito…». Una missiva che ha riacutizzato il dolore dei familiari della vittima e che, sia per il suo contenuto, sia per la tempistica (a ridosso del processo d’appello) ha destato più di una perplessità nei congiunti di Lucia. La sorella Elisa, in particolare, aveva detto: «Il processo d’appello per noi sarà devastante e questa lettera aumenta il senso di dolore. Per essere credibile Ciccolini dovrebbe rinunciare a difendersi e accettare la pena che gli è stata inflitta in primo grado. Il periodo, assolutamente inopportuno, in cui è arrivata e il fatto che in tutte le 26 righe non ci sia una richiesta chiara di perdono genera in me nuova sofferenza e nuova rabbia».