Addio a Gabbris Ferrari, lo scenografo che amava Urbino

Fu professore e direttore all’Accademia di Belle Arti. E' morto a Rovigo a 77 anni. Ecco il suo testamento spirituale nel rapporto con la città ducale

Gabbris Ferrari (1937 - 2015)

Gabbris Ferrari (1937 - 2015)

Urbino, 29 marzo 2015 – Per andarsene, ieri 28 marzo 2015 verso mezzogiorno, Gabbris (e basta solo questo nome inconsueto per indicarlo) ha scelto una giornata di calda primavera con un cielo di purissimo e intenso azzurro.

Se n’è andato in fretta, a 77 anni, lasciando in chi resta sparse e crudeli memorie, affetti, pensieri e lacrime.

Negli anni, Gabbris era diventato un artista vero e apprezzato anche da maestri importanti, con uno stile inconfondibile e capace di accogliere nelle sue opere quanto accadeva nel mondo dell’arte, al tempo stesso c’era stato l’impegno politico e amministrativo che aveva finito per risolversi in breve tempo con una cattedra di scenografia all’Accademia di Urbino della quale sarebbe diventato direttore, per poi passare a Bologna e a Venezia.

Come scenografo (e costumista e regista) aveva, in breve tempo, trovato uno stile originalissimo e tutto suo, giocoso e lieve, con gusto per le macchine sceniche e costumi di grande eleganza. E, insieme con le marionette, le più raffinate che fosse dato di vedere, il teatro aveva occupato gelosamente trent’anni della vita di Gabbris, tra progetti e recuperi, soddisfazioni e anche delusioni. Aveva fondato più di un compagnia, l’ultima, con Letizia Piva, i Minimi teatri e spettacoli, per così dire, da camera, perché un teatro nessuno glielo aveva voluto dare. Poi, improvvisamente, era tornato alla pittura e alla grande, con una serie di opere di imponente formato, in cui riapparivano, sia pure simbolicamente, molti momenti importanti della sua storia, compresa la morte tragica del figlio, che nella sua immaginazione era diventato un angelo capace, ogni volta, di insegnargli la strada.

Ma c’era, con una maschera digrignante, anche la malattia che lo aspettava al varco, inattesa e temuta, che in due mesi se l’è portato via, con la moglie e i familiari e gli amici che non l’hanno mai lasciato solo, per rendergli più lieve l’addio a un mondo che lo aveva visto protagonista, sempre. Il funerale sarà mercoledì 1 aprile 2015 alle 11 nel Duomo di Rovigo.

di Sergio Garbato

"Il mio rapporto con Urbino"

di Gabbris Ferrari

Quando arrivai ad Urbino nel mese di gennaio dell’80, certo non potevo supporre che sarei rimasto in questa città per 15 anni e meno ancora pensavo che l’avrei amata così intensamente. Prima di allora avevo avuto altre opportunità di contatto, di soggiornare ad Urbino per lunghi periodi, in occasione dei corsi di grafica in particolare ed è proprio qui che incontrai un personaggio indimenticabile come Carlo Ceci, con il quale avrei mantenuto a lungo un rapporto di intensa idealità.

Ma non mancarono, successivamente, anche situazioni difficili. Ricordo in particolare uno spettacolo di danza, nel cortile del Palazzo Ducale, quando ancora questo spazio ospitava il teatro d’estate, di certo per la gioia di molti spettatori, ma con grave rischio per l’integrità di quella magnifica architettura. Rammento che proprio in quell’occasione Claudio Boccolacci, che avrei avuto come collega in anni seguenti, si prodigò per una intera giornata nel dare una mano al montaggio delle strutture. Sono Frammenti di ricordi e di un amore per Urbino che diversi periodi della vita mi ha legato a questa città, ai suoi segreti e al fascino particolare che essa emana.

Vi feci ritorno anni più tardi come docente di Scenografia all’Accademia, e la sera che arrivai fu una prova per il cuore quella di salire via Raffaello pensando a quante volte ancora avrei dovuto arrancare su quella strada e per quanto tempo sarei dovuto restare in quella città dalle salite vertiginose, che per me, uomo di pianura possono rappresentare un serio problema, anche psicologico. E mentre misuravo con gli occhi lo spazio che mi separava dalla cima incontrai Marchigiani e Mascalchi e credo che siano stati loro, in realtà, il viatico migliore per il mio ingresso in quella piccola casa d’arte che era l’Accademia di Urbino, o almeno come mi appariva allora in una condizione di spirito assolutamente favorevole e disposto a vivere quell’esperienza con l’impegno più totale. E fu quella sera, umida, in una osteria, oggi purtroppo scomparsa e dove più avanti avrei conosciuto Volponi, che i due mi spiegarono il “comportamento accademico”.

Gabbris Ferrari (1937 - 2015)

La pratica del teatro mi aveva insegnato che il solo modo di imparare era quello di lavorare sul campo e cioè sviluppare quel senso del fare attraverso la manualità, realizzando le cose, gli oggetti, misurando “fisicamente” lo spazio. Fra le pratiche d’arte che richiedono risultati visivi concreti, lo spettacolo è forse quello che necessità di una grande quantità di ingredienti. E’ un meccanismo semplice e complicato allo stesso tempo, dove ogni particella riveste un’importanza determinante ai fini del risultato complessivo. Per tutti gli anni che fui ad Urbino questo, in fondo, è stato il principio sul quale abbiamo lavorato nella scuola di Scenografia. Il plurale è d’obbligo, dal momento che non avrei combinato granché senza la collaborazione di Christian Cassar, collega, amico fraterno e riferimento insostituibile per tutto il tempo che passai in quella scuola.

Anche se Cassar, allora, veniva da tutt’altre passioni, in particolare della calcografia, aveva, per fortuna, una intelligenza creativa multiforme, un gesto quasi fisico per la manualità e la materia. Con questa qualità può essere vivificante passare da una pratica d’arte all’altra, come del resto lui ha fatto in molte circostanze, anche recenti. E con Christian non furono poche le notti passate a costruire scene; per il Turco in Italia, L’inganno felice o L’Orfeo o altre cose. Ma in ogni occasione molti dei nostri studenti stavano con noi da apprendisti, quelli più dotati naturalmente o quelli che avevano deciso che nella avrebbero fatto il teatro e che quindi lo dovevano imparare. Infatti alcuni ragazzi di allora, in un modo o nell’altro, sono rimasti nella memoria come un ricordo piacevole e sicuramente istruttivo. Qualche nome lo ricordo con grande affetto: Paola Giulianetti, Tiziana Paci, Paola Lamponi, Gioacchino Gramolini, Edoardo Sanchi e chiedo scusa a molti altri, ormai colleghi, che qui non ho modo citare.

Erano quelli i primi anni Ottanta e fu in quel periodo che si crearono per noi alcune situazioni fortunate. Furono gli anni di avvio del Rossini Opera Festival di Pesaro che ebbe per l’Accademia di Urbino e in particolare per la nostra scuola di scenografia un peso determinante con l’esperienza che molti studenti poterono praticare e le occasioni di lavoro che ne derivavano. Poi venne la creazione della Macchina del vento. Un gruppo di studenti costituirono una vera e propria associazione e crearono un insieme teatrale di ricerca essenzialmente attivo nel teatro di figura e di animazione. I primi spettacoli, difficili ed entusiasmanti, furono possibili solo per il contributo del Comune di Urbino e il sostegno, illuminato, di Elio Marchigiani che dirigeva allora l’Accademia di Belle Arti.

Fu proprio in questo laboratorio, nella Sala del Maniscalco che non aveva orari e funzionava come una piccola impresa teatrale che si formò quel sodalizio di cultura e di intenti che legò fra loro molti di quei ragazzi e ancora oggi, dopo tanti anni e alcune vicende, non tutte liete, ancora resiste. Infatti Claudio Magrin, Marcello Morresi, Paola Mariani, Francesco Calcagnini, Fulvia Amati, Nora Veneri, Mimmo Peirone oggi sono professionisti che hanno imparato a far teatro proprio in quella “cucina” in quel massacrante laboratorio che fu la Macchina del vento. Anche la poesia ha le sue difficoltà. Dopo quello un’altra fortunata coincidenza ci consentì di dotare la scuola di un’aula teatro e qui finalmente fu possibile ospitare spettacoli, crearne di nostri e organizzare rassegne.

Gabbris Ferrari (1937 - 2015)

Ogni anno, in primavera, si apriva un periodo di fatica e di entusiasmo. Preparare questo “Evento” significava sostenere un impegno ed una organizzazione che solo con il serio e prezioso contributo di Giacomo Albano, mio amico e collega, scenotecnica si è reso possibile . In questo contesto faceva le sue prime esperienze anche Giovanni Ferri, a mio avviso un talento registico dell’ultima generazione, il quale proprio in quegli anni, riuscì a creare con pochi suoi compagni d’Accademia un gruppo tuttora vivo. E con quella vivacità e con quegli stimoli un personaggio versatile e talentoso come Giorgio Donini (Figaro) scoprì la sua vena d’attore e realizzò, proprio con Giovanni Ferri, alcuni spettacoli di notevole forza.

Io sono convinto che fu proprio Urbino e non altro a rendere possibile tutto questo, la fisicità dolce e aggressiva di questa città che non mi ha mai lasciato e che a nessuno di noi ha consentito risparmi. Sono molte altre le cose in questi quindici anni accadutemi ad Urbino.

Qualche anno di Direzione, l’impegno e lo sfinimento per la riforma che non si fa mai, cinque mesi di occupazione studentesca totale, incontri inutili con Ministri, Sottosegretari e Ispettori, una casa nel bosco… Ma questo è tutt’altro racconto.

(tratto da “La fabbrica del vento”, a cura di F. Calcagnini e U. Palestini, con la collaborazione di C. Cassar), anno 2010, 242 pagine, 45 euro, edizioni Baskerville.