Torna “La Muta” di Raffaello. E... ha molto da dire

Completato il restauro, finanziato dal Giappone. Ora è a casa sua, nel Palazzo Ducale di Urbino

La soprintendente, Maria Rosaria Valazzi, mentre presenta il restauro (foto Emanuele Maffei)

La soprintendente, Maria Rosaria Valazzi, mentre presenta il restauro (foto Emanuele Maffei)

Urbino, 25 marzo 2015 - “La Muta” di Raffaello dopo oltre un anno è di nuovo a casa, nella Sala dei Banchetti di Palazzo Ducale, dove sarà esposta fino al 5 maggio, prima di tornare nella collocazione originaria, l’Appartamento della Duchessa dello stesso Palazzo.

Per questa occasione è stato presentato il risultato del restauro per mano dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, che sarà raccontato anche in un volume la cui presentazione è fissata al Salone del Restauro di Ferrara.

«Sono stati mesi di assenza sofferti – ha spiegato la soprintendente Maria Rosaria Valazzi prima di accompagnare i presenti in una visita all’allestimento –, ma indispensabili e che hanno permesso di effettuare indagini utili a capire meglio la natura del quadro».

Il capolavoro del pittore urbinate era partito alla volta del Giappone grazie all’intervento della tv nazionale Yomiuri Shimbun, che ne ha finanziato parte del restauro, per poi approdare nei laboratori fiorentini.

Qui era stato al centro di un progetto mirato alla conservazione del dipinto, ma sopratutto della cornice. «Ogni intervento di questo tipo – ha commentato Marco Ciatti, soprintendente dell’Opificio – è un incontro tra noi e l’opera d’arte che ci permette di avere una conoscenza più precisa. In questo caso c’erano voci contrastanti sull’attribuzione a Raffaello. L’approfondimento che siamo riusciti a fare ci ha consentito di fugare ogni dubbio. Le sottilissime velature usate, che rendono una nobiltà unica nell’immagine, sono indiscutibilmente del grande pittore urbinate. Il restauro – ha aggiunto - è soltanto l’ultimo step di un lavoro di conservazione più ampio. Abbiamo infatti tre frecce nel nostro arco: la conservazione preventiva, la manutenzione, il restauro».

"La Muta" di Raffaello Sanzio

Il professor Ciatti ha poi rimarcato un aspetto innovativo: «Con “La Muta” abbiamo utilizzato un modello sperimentale di Tac che rispetto a quello sanitario permette di effettuare la scansione semplicemente girando attorno all’opera. Un tipo di analisi che ci dà molte più informazione di una radiografia».

Sugli aspetti tecnici si è soffermata ancora Patrizia Riitano, che ha fatto parte del team di restauratori. E che, ripercorrendo le indagini effettuate e i rarissimi prelievi di materiale, ha illustrato l’impegno necessario per ovviare ai problemi di tarlatura. Un lavoro certosino e sorprendente: «Notando un leggero abbassamento della superficie nella parte bassa del quadro temevamo che ciò potesse essere indice di un taglio della tavola. Probabilmente non è così perché osservando altri dipinti (uno in particolare del Rembrandt) abbiamo ipotizzato come questo dettaglio riveli in realtà l’utilizzo di un regolo, un supporto ligneo per facilitare il trasporto durante la composizione».

Claudia Caldari, che per la Soprintendenza urbinate ha supportato le varie fasi dell’iter seguito, ha tracciato infine una breve storia della tavola, protagonista tra l’altro, nel 1976, del cosiddetto furto del secolo.

A partire dalla lunga controversia con Firenze, a colpi di appelli, lettere, ricorsi e controricorsi, qeustione risolta dal duce che riassegnò la proprietà a Urbino, si è giunti fino alle alterne vicende più o meno recenti (non da ultima la seconda guerra mondiale) e ai ripetuti spostamenti. Caldari ha rimarcato poi la presenza di molti documenti e carte che, a proposito della collocazione, entrano nella partita tra le due città. Come una lettera a firma del sindaco di Urbino Franco Del Vecchio (dal 20 agosto 1945 al 22 marzo 1946), diffidente e preoccupato di riavere dagli Uffizi «la dama con la crocetta sul petto».

Oppure l’articolo di giornale apertamente schierato nell’infinita disputa che titolava, calcando sulla pretesa appartenenza dell’opera, sulla «fiorentina nel tempo e nel respiro».