Venerdì 19 Aprile 2024

L’Italia cresce meno del previsto. "Far tornare i conti è più difficile"

Il Pil si ferma a +0,7%, il governo si muove. Schulz, assist a Renzi

L'andamento economico in Europa e le proteste di piazza

L'andamento economico in Europa e le proteste di piazza

Roma, 13 febbraio 2016 - L’ITALIA emerge dal tunnel della recessione ma ancora non riesce a spiccare il volo. Nel giorno in cui il premier aggiunge due nodi importanti alla rete anti austerità che sta tessendo in Europa, la maledizione dello zero-virgola offusca il sostegno incassato dal presidente dell’Europarlamento Martin Schulz e dal cancelliere austriaco Werner Faymann. I dati Istat sul quarto trimestre 2015 certificano una crescita che via via ha perso slancio fino a segnare uno + 0,1% che porta il dato annuo a un contenuto 0,7%. Ma, se si considerano gli effetti di calendario (le tre giornate lavorative in più del 2015), il dato si ferma a +0,6%.

Nessuna preoccupazione, assicura Pier Carlo Padoan da Bruxelles, perché, anche se avrebbe preferito «vedere un decimale in più», quello che conta per il ministro del Tesoro è la direzione di marcia, «di crescita dopo tre anni di recessione». «Siamo ben lontani dal quel salto in avanti necessario a voltare pagina – è l’analisi di Nomisma – mentre è scontato che il dato finale sul 2015 sarà inferiore allo 0,8% previsto». Uno zero-virgola più basso delle stime del governo (ufficialmente ferme allo 0,9% ma Renzi aveva già abbassato l’asticella allo 0,8%) che ad aprile dovrà «riconsiderare il quadro di finanza pubblica e macroeconomico». Ma, a questo punto, diviene estremamente difficile centrare l’obiettivo di crescita all’1,6% nel 2016 (Ue e Fmi l’hanno abbassato a 1,4% e a 1,3%).

«LO SCENARIO è cambiato, la situazione è più complicata», ha ammesso il premier. E i suoi fanno quadrato: «Non siamo noi il problema, è il mondo che rallenta. Basta guardare le banche in America, Francia o Germania...». È vero, ci sono le tensioni geopolitiche, il rallentamento della Cina e dei Paesi emergenti, le turbolenze sui mercati con le banche di mezzo mondo sotto scacco, e il crollo del greggio che a lungo andare si sta rivelando un boomerang. Però quello che turba i sonni è la domanda interna, consumi e investimenti: nei trimestri precedenti aveva sostenuto la flessione dell’export ma nel quarto è diminuita. Nonostante gli ultimi mesi di decontribuzione piena per i neoassunti e il bonus degli 80 euro. La variazione del Pil risente del rallentamento dell’industria, ma al Tesoro confidano in una revisione al rialzo nel dato finale di marzo: i consumi elettrici sono aumentati, il gettito è andato bene così come il turismo. Certo è che se il denominatore (cioè il Pil) cresce meno, «far tornare i conti si complica», ammettono gli uomini di Renzi, che pure invitano a guardare il bicchiere mezzo pieno perché «i consumi sono ripartiti». L’impatto sul deficit sarà inevitabile. La prova del fuoco si proietta sul 2017, con 15 miliardi di clausole di salvaguardia da disinnescare e lo 0,5% del deficit strutturale da ridurre. Senza contare i 3,3 miliardi di flessibilità per migranti-sicurezza che Bruxelles difficilmente ci darà. La battaglia politica non sarà meno decisiva di quella economica. E di flessibilità Renzi ha parlato ieri con Schulz e Faymann: «Applicarla è segno di buon senso – ha ribadito –, bisogna dedicarsi più alle questioni serie dell’Europa e meno agli zero-virgola». «Rispetto dovuto» per il «coraggio» dell’Italia, assicura Schulz con tanto di assist, «è un pilastro dell’Ue, il Paese con il governo più stabile». E anche il cancelliere austriaco fa sponda: «Non bisogna smettere di investire su crescita e lavoro». Pacche sulle spalle. Da qui ad ottenere, come la definisce Renzi, «un’Europa più sociale e meno finanziaria» ne passa. La tela da tessere è lunga.

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