Sabato 20 Aprile 2024

Primarie Pd, eterno tormentone. Ma mancano i candidati forti

Funzionano e piacciono alla gente. E' il partito a non saperle gestire

Primarie Pd

Primarie Pd

Roma, 13 ottobre 2015 - Una primavera densa di appuntamenti, con grandi città al voto, pone di nuovo al centro il tema delle primarie nel Partito democratico. Unico partito in Italia che utilizza seriamente forme di democrazia diretta, a ogni importante consultazione il Pd mette tuttavia in scena il balletto "primarie sì-primarie no-primarie come" e a questo balletto non si è sottratto con certe sue dichiarazioni nemmeno Matteo Renzi, anche se due sere fa intervistato da Fazio ha rassicurato che a Roma le primarie si terranno. Eppure, lo stesso Renzi non sarebbe dov’è senza quello strumento e come ha osservato il padre delle primarie, Arturo Parisi, sulla Stampa, il partito "senza la D di Pd perderebbe la sua identità". Ma, soprattutto, le consultazioni dirette sono ormai considerate un patrimonio comune dagli stessi elettori del Pd. Ciò emerge da un rapporto elaborato dallo Standing Group della Società Italiana di Scienza Politica "Candidate & Leader Selection" e curato da Marco Valbruzzi. Il rapporto parla di 970 consultazioni dirette tra il 2004 e il 2015, a tutti i livelli. Rilevante è anche l’alto grado di partecipazione: 48% alle primarie comunali, 18,6% a quelle regionali, 31,2% nella sfida del 2012 tra Bersani e Renzi, con vittoria del primo. In media un elettore di centrosinistra su tre.

Le primarie aperte appaiono, cioè, in grado di mobilitare in un periodo di forte diffidenza verso i partiti e ben al di là dei soli iscritti; limitate a questi esse avrebbero una fisionomia diversa: nel 2012 coloro che non erano iscritti ad alcun partito rappresentarono il 76,85% dei votanti. E la partecipazione appare motivata non solo dal desiderio di esprimere la propria appartenenza, ma anche dal volere partecipare a un vero e proprio processo decisionale: le competizioni interne si sono infatti rivelate sempre più competitive, con un margine tra il vincitore e il secondo arrivato che è andato assottigliandosi, in particolare a livello locale. Inoltre, l’attaccamento a questi strumenti di partecipazione è elevato anche tra gli iscritti, che in larghissima maggioranza hanno espresso il loro favore per le primarie, ritenendole necessarie in ogni occasione ed escludendo che esse limitino il potere degli iscritti o a essi debbano essere circoscritte. Sappiamo che le primarie in alcuni casi sono state inquinate da gravi irregolarità e l’uso di "truppe cammellate", ma - come osservava sempre Parisi - questo accade anche per le elezioni "secondarie"; non per questo eliminiamo la democrazia, ma cerchiamo di garantire al meglio lo svolgimento dei suoi processi.

Il problema che, piuttosto, emerge oggi – anche se in realtà non da oggi – è piuttosto la carenza di figure solide e convincenti che possano competere per la candidatura; le speranze riposte in Fassino a Torino o il nome che è tornato a circolare a Napoli di Bassolino paiono la riprova della debolezza di una "rottamazione" costretta a ricorrere a un "usato sicuro", di un partito che non è più in grado di svolgere la sua funzione di reclutamento e selezione di una classe dirigente. Non sono le primarie il problema, e nemmeno le primarie aperte o semi-aperte, che stanno conquistando sull’esempio italiano diversi grandi partiti stranieri, anche i più restii, come i gaullisti francesi. Le primarie aperte sono, anzi, un importante strumento, se ben utilizzato, per mantenere il rapporto tra i partiti e una società sempre più complessa e fluida. Il problema è che, dopo aver rottamato o aver fatto buon viso al gioco della rottamazione, nessuno nel Pd sembra avere un’idea di come ricostruire dalle ceneri della Ditta.