L’ARIA che in questi mesi si respira in Europa non è per nulla nuova: è come se il Novecento, con le sue tragedie, non abbia insegnato nulla. È come se sia stato ampiamente dimenticato tutto quanto ha distrutto il vecchio continente, dalla prima alla seconda guerra mondiale, dai nazionalismi che le provocarono
ALLE rovine e alle stragi che produssero, al quasi mezzo secolo di Europa divisa militarmente in due da una “cortina di ferro” e dall’emblematico Muro di Berlino. Dalla fine delle tragedie del Novecento sono passati ben pochi anni, ma è come se fosse cambiata un’era. Le grandi speranze, coltivate negli anni della guerra e nel lunghissimo dopoguerra, si infrangono quotidianamente con gli eccessi di burocrazie e con le incapacità europee di affrontare insieme, nell’interesse comune, le grandi emergenze come la crisi economica, la ripresa e l’immigrazione. La conseguenza è un regresso, spesso inconsapevole, ai nazionalismi antecedenti alla prima guerra mondiale. Si tratta di risposte istintive, ma anacronistiche ed inadeguate di cui non basta constatare i limiti e i rischi. Occorre, invece, perseguire le utopie col metodo della ragione, non rassegnandosi di fronte ai limiti dell’Unione Europea, ma sforzandosi di correggerli insieme, senza pretese egemoniche o spinte solitarie. Una riflessione strategica ed innovativa sull’Unione Europea s’impone per scelte fondamentali sui nodi irrisolti, sui metodi per crescere insieme. Altrimenti significherebbe rassegnarsi a regredire di un secolo, come se il Novecento non fosse stato caratterizzato da immani tragedie. Ma c’è chi non si rassegna.
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