2008-12-15
NELL’AGOSTO scorso è caduto il centenario della nascita di don Giuseppe Della Vedova, una delle figure più note del clero ravennate del Novecento. Lombardo di origine, passò al Seminario di Ravenna e dopo essere stato ordinato sacerdote da mons. Antonio Lega nel 1933, fu mandato a San Biagio come cappellano e successivamente divenne arciprete dal settembre del 1937 fino al marzo del 1942, quando partì come cappellano militare alla volta dell’Egeo. E ripensando a questa esperienza, Enzo Tramontani ricorda una sua scelta che tuttavia non gli impedì di seguire fino in fondo la sua missione di prete. «Nell’ora delle scelte obbligate poste dall’armistizio di Badoglio, - scrive infatti Tramontani - don Della Vedova rimase dall’altra parte della trincea optando per la Repubblica sociale» ma «nemmeno lui nell’ora estrema mancò di prestare ai nostri soldati il conforto della religione». Terminata la guerra ritornò a Ravenna e dal 1955 al 1960 fu economo spirituale a San Romualdo e Sant’Antonio quindi dal 1961 fino alla morte fu collaboratore della chiesa del Suffragio, dove era solito celebrare la Messa di mezzogiorno della domenica. Dotato di grandi capacità oratorie, le sue prediche erano molto seguite e tanti ravennati le ricordano ancora. Aveva anche un forte senso dell’humor. Una volta esordì nell’omelia esclamando: «Oggi il Vangelo parla di me…» e dopo una pausa per dare la possibilità all’uditorio di parare il colpo, continuò: «…infatti oggi si parla del miracolo del figlio… della vedova!».
Negli anni Sessanta fu anche insegnante di religione all’Istituto tecnico per ragionieri Giuseppe Ginanni quando era preside Michele Vincieri. Uomo di cultura, fu anche poeta. Il suo libro più importante è sicuramente ‘Il palo della morte’ (1963), un’opera che racconta la sua esperienza di cappellano militare. Il titolo fa riferimento al palo al quale venivano legati quanti erano condannati alla fucilazione, un palo che don Della Vedova definisce una ‘croce senza bracci’ sulla quale tanti giovani lasciarono la vita. Sono pagine appassionate, scritte con forza, dove rivivono ancora gli ultimi sospiri dei condannati che lui raccoglieva con grande pietà.
Ebbe anche le sue sofferenze. Dopo essere stato economo di San Romualdo, si aspettava di essere nominato parroco. Al suo posto invece venne scelto un altro prete e lui patì moltissimo questa decisione. Lo vidi una volta mentre usciva dal Seminario in una giornata di pioggia. Si aggiustò la sua inseparabile ‘caparela’ e indirizzò una specie di preghiera alla pioggia, definendola sacra e rigenerante come il lavacro del battesimo. Poi montò in sella alla bici e si allontanò. Morì il 9 febbraio del 1974, travolto da un auto mentre stava attraversando a piedi l’incrocio di via Guerrini con la Piazza Kennedy.
Franco Gàbici