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«UN COLPO inferto al cuore con grande forza, tanto da incidere anche la costa, la settima, e trapassare l’organo; un secondo colpo a pochissima distanza inferto con il coltello a lama girata rispetto alla posizione precedente, che ha raggiunto il pericardio, quindi altri due colpi, non mortali, uno dei quali ha leso il diaframma, il lobo sinistro del fegato e la parete dello stomaco. I primi due colpi sono stati inferti con una velocità tale da cogliere assolutamente impreparata la vittima, sulle cui mani o avambracci non sono state trovate tracce di ferite da difesa»: Donatella Fedeli, medico legale, è stata precisa ed efficace davanti ai giudici della Corte d’Assise, nella sua esposizione corredata dalla proiezione di videodocumentazione dell’autopsia. Alle immagini crude del corpo di Andrea Tartari, la compagna, Katia Di Benedetto, non ha resistito ed è uscita per qualche minuto dall’aula.
Ha spiegato Donatella Fedeli: «Il colpo mortale è stato quello che ha trapassato il cuore e ha provocato una massiva emorragia: anche un soccorso immediato sarebbe stato inutile. L’arma era probabilmente un coltello con lama di circa due centimetri di larghezza, con un solo lato affilato e lunga una decina di centimetri». Il medico legale ha poi aggiunto che ad Andrea Tartari è stato trovato un versamento ematico a livello parieto-occipitale sinistro, «un bernoccolo provocato da un urto contro una superfice liscia». «Compatibile con una testata?» ha chiesto il pm Roberto Ceroni. «Compatibile» ha risposto il medico. Lo scenario è stato ripreso e spiegato successivamente dal maresciallo capo Rodolfo Console, coordinatore della sezione di polizia scientifica dei carabinieri del Nucleo operativo di Ravenna secondo il quale quella lesione alla testa di Andrea Tartari è compatibile con la ferita riscontrata alla mandibola di Giovanni Vertone: come se, trattenendolo dal retro — come ha testimoniato lunedì mattina il padre di Katia — mentre il fratello Salvatore lo colpiva con calci e pugni e con le coltellate, fosse venuto a violento contatto con la testa della povera vittima.
La precisa illustrazione dei risultati autoptici fornita dal medico Donatella Fedeli si integra perfettamente con la testimonianza di Michele Di Benedetto e ha fornito al pm ulteriori e importanti elementi di prova per la ricostruzione accusatoria che andrà a proporre in sede di requisitoria, ovverosia quella di Andrea Tartari che, al primo accenno di disapprovazione per il fatto che tre uomini (i fratelli Vertone e una terza persona) erano seduti sull’Audi TT di proprietà della sua ragazza, venne immediatamente aggredito, immobilizzato da Giovanni Vertone e accoltellato da Salvatore. Un omicidio d’impeto aggravato dai futili motivi stando la enorme sproporzione fra entità del reato e motivazione della spinta delittuosa: un’accusa, in teoria da ergastolo. L’udienza di ieri ha visto anche la deposizione del fratello e della mamma della vittima. «Andrea lo chiamavano il buon samaritano. Era incapace di litigare, di fare del male a chiunque» ha sottolineato la madre.
Salvatore e Giovanni Vertone hanno assistito all’udienza, sempre in piedi all’interno della gabbia di vetro.
c.r.
Nella foto, l’esame del maresciallo Console.