Pier Paolo Minguzzi, il mistero del carabiniere di leva

I gialli di provincia. Il ragazzo, 21enne, era il rampollo di una famiglia facoltosa. Fu rapito e strangolato

Omicidio Minguzzi, il funerale del giovane

Omicidio Minguzzi, il funerale del giovane

Alfonsine (Ravenna), 18 dicembre 2015 - Pier Paolo Minguzzi ebbe l’ok a una breve licenza solo al pomeriggio del sabato di Pasqua. Era il 18 aprile 1987. Alla sera salutò i commilitoni della stazione carabinieri di Mesola dove prestava servizio da ausiliario e corse a casa, ad Alfonsine. Alla banda di criminali che lo aveva nel mirino bastarono due giorni, la domenica di Pasqua e il lunedì, per attuare il piano evidentemente già studiato nei dettagli: il giovane, studente universitario di Agraria, 21 anni, contitolare di una grossa azienda di lavorazione e commercializzazione della frutta, fu bloccato alla guida della propria Golf rossa verso l’una di notte del 21 aprile, mentre da via Borgo Fratti stava imboccando la statale Adriatica, alle porte di Alfonsine. Aveva appena portato a casa la fidanzata con la quale aveva trascorso l’intero pomeriggio e sera del lunedì di Pasqua, prima a Marina di Ravenna poi al bowling a Imola.

Pier Paolo venne portato in una stalla abbandonata nelle campagne di Vaccolino, fra Comacchio e Lagosanto, neppure molto lontano da Mesola. E qui strangolato, nel corso della stessa notte, probabilmente perché, fisico atletico e robusto, era riuscito a togliere il cappuccio al carceriere. Tutto questo si saprà solo dopo che il primo maggio, nel Po di Volano, affiorò il cadavere, legato a una pesante grata di ferro divelta dalla stalla.

L’allarme per la scomparsa di Pier Paolo fu dato due ore dopo il rapimento, verso le 3, quando la mamma, preoccupata per il mancato rientro, avvertì i carabinieri. Alle 9 del martedì la Golf fu trovata regolarmente parcheggiata in via dei Mille, in centro ad Alfonsine. L’auto era aperta, le chiavi nel cruscotto, il sedile di guida a ridosso del volante, una posizione affatto funzionale alla corporatura dello studente. La polizia scientifica non rilevò alcuna impronta utile. Alle 22 dello stesso martedì giunse la prima telefonata dei sequestratori: «Pier Paolo è con noi, preparate 300 milioni». L’ accento è marcatamente siciliano.

Le telefonate si ripeterono per più sere fra le 22 e le 22.30 con la sola eccezione del 25 aprile, al pomeriggio. Ma la trattativa non fece il minimo passo avanti perché i rapitori non furono ovviamente in grado di fornire la prova che il giovane fosse vivo. Anzi in un’occasione il telefonista ammise: «Pier Paolo non sta bene». Al 30 aprile gli inquirenti e i tecnici della Sip riuscirono a individuare le zone di provenienza delle telefonate, cabine di Comacchio e dei Lidi Ferraresi. Gli inquirenti le disattivarono quasi tutte ad eccezione di alcune che vennero messe sotto costante osservazione.

La speranza era di catturare il telefonista la sera del primo maggio, giorno concordato per l’ulteriore appuntamento. Nella mattinata di quel giorno alcuni canoisti si accorgono di un cadavere affiorato nel Po di Volano. E’ il corpo di Pier Paolo. Ha in testa un cappuccio con i fori per gli occhi, le mani legate dietro alla schiena e la stessa corda gli lega anche una gamba. Un’altra corda è attorno al collo e dall’altra parte è ancorata alla grata. La notizia del ritrovamento del corpo non viene diffusa: la speranza degli inquirenti è che la sera il telefonista si faccia vivo. Ma evidentemente la banda ha altri canali informativi e da quella sera il ‘siciliano’ tace. Qualcuno della banda assistette al recupero del corpo? Ipotesi poco probabile.

All’indomani fu trovata la stalla in cui Minguzzi era stato portato e ucciso, l’indagine spaziò su più fronti, puntando soprattutto sulla criminalità ravennate-ferrarese e sugli ex soggiornanti obbligati siciliani e calabresi. Ma non fece alcun passo avanti.

A luglio parve riprendere quota: la notte del 13 furono arrestati due carabinieri di Alfonsine e un idraulico, autori di un’estorsione da 300 milioni ai danni di un altro industriale della frutta della zona. Gli arresti seguirono di pochi minuti una sanguinosa sparatoria in cui morì un appuntato del Reparto Operativo. Uno dei carabinieri assassini è di Gela, parla un siciliano marcato: le indagini e una perizia fonica non collegano però il terzetto al rapimento. Di lì a breve l’inchiesta fu archiviata.