Faenza, 29 luglio 2010 - LA FUGA in Serbia, anzi, la delocalizzazione e deindustrializzazione dell’Omsa rappresenta una grave perdita per tutta la provincia faentina: trecentocinquanta dipendenti,delle quali 320 ragazze, o mogli, o madri, dopo la cassa integrazione, non avranno più il lavoro e lo sviluppo dell’economia locale ne risentirà in modo ancora più pesante. L’Azienda chiude dopo 69 anni e con alle spalle ben due grosse ristrutturazioni per crisi: una prima negli anni ‘70, la successiva negli anni ‘80. Allora, sindacati e istituzioni seppero governare un importante processo di crisi strutturale e ora devono e possono impegnarsi in un inevitabile processo di riconversione produttiva.


NELL’ACCORDO del 13 luglio presso il Ministero delle attività produttive si è confermato che sono state espresse altre due manifestazioni di interesse di soggetti all’acquisizione dell’immobile, senza specificazione della futura utilizzazione e quindi l’Azienda deve sviluppare ulteriormente il confronto. E’ importante, come facemmo negli anni ‘80, con un accordo tra le parti sociali, individuare nuovi insediamenti produttivi anche con il cambio di destinazione dell’area. Allora fu trasferita la fabbrica dalla via Emilia (abbattendo il vecchio stabile e cedendo l’area), alla nuova costruzione sull’autostrada; fu contemporaneamente avviato un prepensionamento per un numero limitato di lavoratrici,una attenta riconversione professionale per altre. Oggi il responsabile del personale dell’azienda ha dichiarato di aver avviato un programma di outplacement per la ricollocazione dei dipendenti al quale stanno aderendo circa 250 lavoratori/trici.

E’ INDISPENSABILE assicurare a queste donne la reale possibilità di riconversione professionale verso profili o attività richieste dal contesto territoriale: il settore del terziario,la distribuzione,le cooperative sociali. In ogni caso sarebbe sbagliato perdere i contatti con il Ministero competente la cui mediazione ha consentito di procrastinare la cessazione dell’attività.