Ravenna, 18 marzo 2011 - «UNO TSUNAMI in Adriatico? Certo che si può verificare».
Stefano Tinti è ordinario di geofisica al Dipartimento di fisica dell’Università di Bologna ed è anche presidente dell’organismo internazionale responsabile per lo Tsunami Warning System nella zona euro-mediterranea, cioè del Gruppo intergovernativo di coordinamento per il sistema d’allerta dei maremoti nella regione dell’Atlantico di nord-est, del Mediterraneo e dei mari connessi.

Insomma non c’è da stare tranquilli nemmeno qui. «Il maremoto è scatenato da un terremoto e sappiamo che la sismicità costeggia le coste adriatiche, anche se è bene dire che non ci sono sorgenti sismiche importanti».

Quindi uno tsunami come quello giapponese non si potrebbe verificare? «Come quello direi di no: noi possiamo registrare terremoti fino a magnitudo 7, quindi maremoti come quelli che si verificano nel Pacifico qui non sono possibili anche perché l’Adriatico non è profondissimo: nella parte centro-settentrionale arriva fino a 200 metri, quindi il movimento per forza di cose è molto più lento e di conseguenza meno distruttivo. In quella meridionale, fuori dal canale di Otranto, la profondità è molto maggiore e qui il discorso potrebbe cambiare. Ma ci sono ben altri problemi».

Che sarebbero? «L’Adriatico ha spiagge molto basse e se si verifica un’onda anche solo di mezzo metro che avanza e poi si abbatte sulle spiagge, magari piene di bagnanti, può essere una tragedia. Anche perché questi tipi di onde possono penetrare all’interno».

E’ necessario che ci sia un sistema di allerta. «Certo. Il fatto è che non c’è».

Come non c’è? «No. Gli studi sono stati eseguiti, sono pronti per essere applicati, ma non sono stati fatti gli investimenti. Eppure si tratta di una spesa irrisoria, anche perché si andrebbe solamente a implementare altri sistemi di allerta che sono già in essere».

Scusi professore, ma non esiste questo grande sistema di allarme a livello europeo, il progetto Transfer (Tsunami risk and strategies for the european region, ndr)? «Sulla carta sì, di fatto no. E poi quello sarebbe comunque un sistema per i maremoti che si verificano in un Paese, per esempio la Grecia e vanno a interessare anche l’Italia. Ecco che, se fosse operativo, scatterebbe un allarme. Ma per quanto riguarda maremoti che interessano un singolo Stato, tipo quello che potrebbe verificarsi nel mare Adriatico, come si dice: ognuno si tiene il suo tsunami e non scatta niente».

Esiste una statistica dei maremoti che si sono verificati in Adriatico? «Negli ultimi 500 anni sono stati circa 25».
Siamo tutti impressionati dallo tsunami che si è verificato in Giappone. Era veramente così disastroso o qualcosa non ha funzionato nelle allerte? «Qui effettivamente si sono trovati di fronte a un fenomeno molto importante e comunque il sistema di allerta ha funzionato: è vero che sono morte migliaia di persone, ma occorre pensare a quante ne sono state salvate. Occorre poi tenere conto che questo tsunami è entrato all’interno del territorio per cinque chilometri, in zone ad altissima densità abitativa. E’ vero che per prevenire i maremoti sono state ideate delle barriere in cemento e poi sono state costruite delle abitazioni, prevalentemente in legno, come è nella loro tradizione. Il fatto è che le barriere non hanno fermato la gigantesca onda e hanno portato via le case. Terrei a precisare una cosa».

Prego. «Quando si parla di tsunami o di maremoti, che sono sinonimi, non parliamo però di ‘onde anomale’: quelle sono provocate da interferenze non lineari di onde comuni, si possono verificare in un mare più o meno calmo, ma vivono pochissimo. Quindi sono tutta un’altra cosa».