Ravenna, 21 agosto 2011 - PER TUTTI, a San Pietro in Campiano, è ‘nonno Arride’. Ma quello incontrato ieri pomeriggio, e che di lì a poche ore sarebbe stato applaudito e celebrato da un’intera comunità al centro sportivo Tre ville, tutto sembrava tranne che un centenario. È uno degli ultimi orfani della Prima guerra mondiale ancora in vita (il padre morì sul Monte Santo nel ’17). Eppure ‘nonno Arride’ è un vero ciclone. Il corpo è integro, la capigliatura ancora folta e di un bianco autentico. Ma è la mente, soprattutto, ad essere ancora lucida. Il pensiero a tratti graffiante. I ricordi di vita — dall’infanzia vissuta nella povertà alla guerra, dai tempi della scuola a quelli dell’impegno civile per il suo paese — rimbalzano e si rincorrono proprio come quelle onde radio che tanto ha studiato e che ancora oggi non cessa di amare. Pardon, venerare. «Ho il pallino della radio, l’altro giorno avete scritto bene. Sono cresciuto col mito delle stazioni radio e l’ho sposato», sorride Arride Zanchini, che venerdì ha tagliato il traguardo del secolo. Una festa in famiglia, con i figli Federico e Flavia, insegnante come lo era il padre. Presidente onorario dell’associazione nazionale combattenti e reduci di Ravenna, il 2 giugno 2011 è stato insignito della onorificenza di Grande ufficiale della Repubblica. In questi anni è stato una personalità importante per San Pietro in Campiano e le Ville Unite. A lui si devono la prima banca del paese — nel ’56 ospitò in casa propria la prima filiale della Banca del Monte —, il ritorno della Casa repubblicana ‘Fratelli Bandiera’ ai legittimi proprietari dopo che era stata confiscata durante il fascismo, l’adozione del dopo scuola e dell’insegnamento dell’inglese nella scuola media, la creazione della caserma dei carabinieri e il ripristino dei ‘parchi della rimembranza’.
 

Domanda d’obbligo. Come ci è arrivato? Ai cento anni, intendo.
«Dando soddisfazioni al prossimo. Aiutando gli altri, insomma. Come scrisse in un libretto Francesco Baracca, io ho quello che ho dato».
 

E c’è un’intera città, Ravenna, che questo glielo riconosce.
«Durante la Liberazione, dopo l’8 settembre, proprio qui, a San Pietro in Campiano, notai un deposito di apparecchiature radio, un tedesco era disperato perché non funzionavano. Andai e le riparai. Grazie a questo aiuto mi fu risparmiata la fucilazione. Ma è uno di tanti esempi».
 

Ha qualche rimpianto?
«Se rinasco voglio imparare il greco e il latino. Gli studi classici».
 

Se rinasco? Scusi, ma lei non è di tradizione repubblicana...?
«I miei studenti me lo chiedevano sempre. Volevano capire se ero anarchico o fascista, repubblicano o comunista. Posso dire che l’unica tessera che ho avuto è quella del sindacato della scuola media. Dopo di che, senz’altro, la mia famiglia era repubblicana. Mangiapreti, si diceva un tempo. Io, invece, con i preti sono sempre andato d’accordo e andavo anche in chiesa. Ecco, guardi, in questa foto abbraccio il cardinale Ersilio Tonini, in altre sono col vescovo Verucchi, che si chiama Giuseppe, che è il mio secondo nome. Le racconto un aneddoto?»
 

Sono qui apposta.
«Mio fratello fu chiamato Ateo, proprio così. Nacque tre anni dopo di me. Mio padre Aristide morì in guerra che avevo sei anni. Mentre mia madre, che invece si chiamava Pasqua, lavorava nei campi alla Bassona per mantenerci, toccava a me, tutto il giorno, accudire Ateo. Anni dopo, col parroco Luigi Mazzotti, io e mia madre lo portammo in seminario a Ravenna. Quando il rettore sentì il nome, Ateo, saltò dalla sedia. ‘Ci pensiamo noi’, disse don Luigi. E poco dopo gli fu cambiato il nome e Ateo diventò Aristide, come il papà».
 

Torniamo alla radio. Come è nata la passione?
«Era una sera dell’aprile del ’22, avevo 11 anni. Io e altri ragazzi del paese ci trovavamo all’asilo di San Pierino, dove abitava il medico condotto del paese, dottor Sinibaldi. Da una scatolina mi fece sentire, con un auricolare, una Balalaica e una musica di violoncello. Mi innamorai di quella musica e chiesi al dottore da dove arrivassero quelle note. Lui mi rispose, ‘dallo spirito’, ma non capii. Per me lo spirito era l’alcol. A casa raccontati tutto a mia madre che mi disse, ‘i ta tol in zir’, ‘il dottore ti prende in giro’. Invece ‘lo spirito’ era l’etere. Da quel giorno non ho smesso di pensare a quel suono, a quelle onde, e non appena ho potuto ho dedicato alla loro conoscenza tutti i miei studi».
Dopo gli anni del collegio a Forlì («lo chiamavamo collegio ‘dal vach’, perché era della famiglia Dalle Vacche. Ed ero insieme ai figli di Mussolini: Vittorio, un testone, e Bruno, intelligentissimo», racconta Arride Zanchini quasi divertito), e nel ’37 il diploma di perito tecnico industriale dopo essersi distinto nei sei anni di servizio militare col Genio Trasmissioni, vince il concorso e comincia a insegnare a Zara, dove rimane fino al ’43 a disposizione dell’esercito.
 

Quale ricordo ha di quegli anni?
«Intanto che la guerra era uno sbaglio. Mussolini pensava di avere i carri armati, invece aveva delle bici. Personalmente non ho mai sparato un solo colpo. E abbiamo abbandonato quelle terre sacre che erano state difese col sangue dei nostri padri», dice riferendosi ai territori annessi dopo la guerra alla Jugoslavia, dove suo padre Aristide era morto. «L’8 settembre ero a Bologna. Era una città disorientata, gente che scappava. Fu il giorno della vergogna. Ma prima ce n’era stato un altro».
 

Quale?
Mia figlia Flavia nacque a Zara il 13 aprile del ’42, era un lunedì. La domenica i nostri generali avevano istituito una specie di forche caudine in cui i poveri contadini donavano alla patria italiana i loro prodotti. Ricordo una bambina col nonno, che teneva in braccio un agnellino, e piangeva».
 

Mi parli della scuola.
«Ero bravo in matematica, un somaro in italiano: cinque era già un buon voto. Mi piaceva insegnare, ma non so se sono stato un buon preside (l’attuale Callegari; ndr). Non alzavo mai la voce. Non lo feci neppure quando, durante il ‘68, gli studenti occuparono le aule».
 

A chi dedicherebbe il traguardo dei cento anni?
«A mia moglie, Maria. Se sono qui, lo devo a lei. È stata una grande maestra di vita».