Ravenna, 13 marzo 2012 - Venticinque anni dopo, nello stesso bacino in cui era la Elisabetta Montanari, dai cui boccaporti uscivano dense volute di fumo bianco e assassino, ci sono un gigantesco Suppley Vessel, un rimorchiatore della Sers e la Secomar 4. La giornata è tersa come quel 13 marzo 1987. Il lavoro è lo stesso di allora, le tre imbarcazioni sono in bacino per lavori di riparazione e manutenzione. «Il Suppley Vessel è stato costruito in Cina. L’albero di una delle eliche è storto: succede spesso con i cinesi» chiosa l’ingegnere Paolo Soprani, consigliere di amministrazione e responsabile del settore commerciale di Naviravenna, la società che con la Rosetti condivide gli spazi occupate all’epoca dalla Mecnavi. In questa area, Naviravenna (il cui presidente è Giulio Sartoris) opera dal 1991, prima con i Cantieri Ravenna (Trombini), poi, appunto, con Rosetti che lavora sul fronte della cantierista navale ex novo.

Dal Suppley Vessel fuoriescono grosse condotte flessibili in materiale plastico; servono per pompare aria dentro alla nave. A poppa il ponte è transennato come in un cantiere edile, per chiudere spazi pericolosi. Ad operare è prevalentemente gente giovane, che si muove sicura, attrezzata con scarponi ed elmetto. Su tutti veglia un preposto. «Il suo compito è di avere sempre tutto sotto controllo, per la sicurezza dei ragazzi e del cantiere» annota Soprani. Che aggiunge: «Il rischio zero è utopia, il nostro obiettivo è la riduzione al minimo possibile. E lo facciamo utilizzando strumentazioni e presidi ben oltre il richiesto. Lo scriva, noi non siamo quelli ‘brutti, sporchi e cattivi’ come il lavoro di cantieristica navale a Ravenna venne descritto a fine anni Ottanta, dopo la sciagura del 13 marzo 1987. Oggi è tutto diverso».

Lavori come quelli sul fondo della ‘Elisabetta Montanari’ se ne fanno ancora?
«Guardi che nel nostro cantiere la ‘Elisabetta Montanari’, che nel frattempo ha cambiato nome, è tornata per altri lavori. Oggi però sono sempre meno le navi con quelle particolarità. Sul fondo della nave si trova soprattutto acqua marina, acqua di zavorra, non fluel. E poi le strutture sono diverse, quasi tutte hanno il doppio scafo e allora i passaggi angusti, neanche 50 centimetri, sono altrove, soprattutto in verticale».
Si lavora ancora con il secchiello e gli strofinacci?
«Il lavoro oggi si fa prevalentemente con i macchinari, con i vaporizzatori e gli aspiratori. Questo è il primo intervento. Però ci sono parti della nave che ancora può raggiungere e pulire solo l’uomo con il secchiello, la palettina, lo strofinaccio».
E la sicurezza?
«E’ massima. Sicurezza di ambiente che viene prima completamente neutralizzato dopo i rilevamenti strumentali. Poi sicurezza del lavoratore. Che è provvisto di radio ricetrasmittente, rilevatore acustico di ossigeno, maschera anti gas e di bomboletta di ossigeno, di quelle piccole, da cinque minuti. E le vie [EMPTYTAG]di fuga sono tutte illuminate e indicate. Ma non dimentichi che dentro alla nave si pompa sempre aria».
Nulla che vedere con il fondo centinato della ‘Elisabetta Montanari’ dove uomini utilizzati come topi morirono asfissiati dal fumo provocato dall’incendio del fluel innescato dal concomitante uso delittuoso della fiamma ossidrica, impossibilitati a muoversi, a trovare la via di fuga.
La sicurezza ovviamente ha un costo. Come riuscite a far fronte alla concorrenza ad esempio turca, o croata o montenegrina?
«Soprattutto sono i turchi che praticano prezzi ridotti a un terzo rispetto ai nostrti. Là la sicurezza è zero. Sette anni fa a Istanbul accadde un disastro come la Mecnavi: pochi giorni dopo il lavoro riprese tranquillamente. Per noi la sicurezza è imprescindibile, è un investimento. Riusciamo a reggere, nonostante il recente notevole calo del fatturato grazie alla organizzazione puntuale del lavoro e alla qualità del servizio. Nel 2011 abbiamo avuto 200 commesse e lavori grossi su 40 navi.Noi risolviamo problemi nel minor tempo possibile. E i nostri ragazzi, quasi tutti provenienti dal Sud, molti dal Polesine, poi albanesi, romeni, pochissimi romagnoli, sono tutti entusiasti del lavoro perchè sanno che tutti insieme lavoriamo per gli altri. E fra lavoro diretto e indotto, diamo lavoro a duecento famiglie».

di Carlo Raggi