Ravenna, 30 agosto 2012 - «LA STORIA strana, bella e vera di una utopia civile brevemente realizzata nell’Italia ancora innocente degli anni Sessanta». E’ l’onda de «L’isola e le rose», l’ultimo libro di Walter Veltroni che prende spunto da una storia vera, quella dell’isola d’acciaio realizzata appena fuori dalle acque territoriali italiane al largo di Rimini dall’ingegnere bolognese Giorgio Rosa. E che il 1º maggio 1968 si autoproclamò Stato indipendente con tanto di lingua ufficiale (l’esperanto), un governo, un francobollo e una bandiera. Ma le voci su fantomatiche di basi missilistiche, trivellazioni petrolifere abusive, casinò e radio pirata ne segnarono presto il destino. Fu fatta saltare in aria dalla Marina nel febbraio 1969 dopo aver attirato su di sè l’interesse di mezzo mondo.

Com’è che ha fatto naufragio sull’Isola delle Rose?
«Per caso — spiega l’autore Walter Veltroni — su Internet, studiando un caso analogo davanti alle coste dell’Inghilterra. Che nessuno però ha abbattuto a colpi di dinamite..»

C’era davvero tutta quell’utopia che lei racconta o più voglia di far quattrini?
«C‘erano tutti due gli aspetti, come ho raccontato nel romanzo. Dove due dei protagonisti partono lancia in resta per creare una comunità con regole nuove e solidaristiche, mentre gli altri due guardano anche a far tornare i conti. Poi i ruoli s’invertono per uno di quei casi di eterogenesi dei fini tutt’altro che infrequenti nella vita»

Ma gli altri personaggi dell’isola, quelli veri, carne ossa e ricordi, ci sono ancora?
«Per esempio Franca Serra, la ragazza bellissima che ha gestito il bar e che ha contribuito non poco a renderla così popolare. Si è commossa raccontandomi di quelle notti passate sulla piattaforma avvolta dalla luce del fitoplancton fluorescente».

Il Resto del Carlino fa parte della sua storia e anche il nostro fotografo dell’epoca, Davide Minghini...
«E’ vero, il vostro giornale gioca un ruolo importante nella storia vera e nel romanzo... E ho avuto anche la fortuna di sfogliare l’archivio Minghini, un Vasari della Leica»

Lei dov’era in quegli anni?
«Facevo le medie e distribuivo volantini contro la guerra in Vietnam».

Le spiace aver saltato l’appuntamento con quell’isola?
«Certo, ma visto che non c’è e che non possiamo asfaltare il mare, spero che questo romanzo possa trasportare quell’ideale sulla terraferma».

Altro che utopia qui...
«No, qui parliamo di necessità. C’è bisogno di una nuova speranza. Non illudiamoci di poter mettere le lancette del tempo indietro solo con qualche aggiustamento».

Pier Luigi Martelli