Ravenna 29 luglio 2013 - Sorride suor Paola, seduta alla sua scrivania e seminascosta dallo schermo del computer e dai libri. Ci sono anche tanti quaderni, quelli scritti dal cardinale. La sua calligrafia fitta, zeppa di correzioni e cancellature è inconfondibile. E lo sa bene lei che per quasi 40 anni è stata al suo fianco ogni giorno come un angelo custode. Il telefono squilla di continuo. Chiamano da tutta Italia per sapere come sta, ora che il cardinale Ersilio Tonini non c’è più (leggi).

Suor Paola, qual è il suo stato d’animo in questo momento?
«Sto meglio dei giorni scorsi. Non mi piaceva l’idea di vederlo soffrire solo per il nostro egoismo, per averlo ancora qui con noi. E poi adesso è dove voleva andare».
Si ricorda del vostro primo incontro?
«Certo. Fu un vero colpo di fulmine, me ne sono innamorata all’istante».
Che anno era?
«Il 1975. Arrivò a Ravenna una settimana prima del suo insediamento ufficiale, ‘in incognito’. Voleva capire com’era la situazione. Don Zalambani, allora direttore di Santa Teresa, gli fece fare un giro. Noi eravamo in cripta per le prove di canto, ci sentì e volle venire a vedere. Si presentò con semplicità, ci diede la mano senza tante cerimonie. Ci colpì molto».
Poi lei ha iniziato a lavorare con il cardinale. Gli metteva in ordine e gli batteva gli scritti, gli teneva aggiornata l’agenda.
«Lavoravo negli uffici di Santa Teresa, non avevo mansioni particolari, ma sapevo scrivere a macchina molto velocemente e riesco a decifrare le calligrafie degli altri. Il cardinale non aveva nessuno che gli desse una mano, così abbiamo iniziato a lavorare assieme».
Monsignor Tonini aveva una ‘brutta’ calligrafia?
«Riscriveva e correggeva di continuo. I suoi testi erano pieni di cancellature e sostituzioni difficili da decifrare. Gli articoli li riscriveva anche cinque o sei volte, e all’epoca mica c’erano i computer. Improvvisava ininterrottamente e si definiva, ridendo, un pasticcione».
Chiamato da Giovanni Paolo II, Tonini predicò anche gli esercizi spirituali alla Curia romana. Anche in quel caso scrisse e riscrisse?
«Della prima predica scrisse 15 versioni, poi però non ne utilizzò nessuna perché quella mattina a Roma si svegliò presto e gli venne un’idea nuova».
Lei lo ha mai ‘sgridato’, esortato ad essere più ordinato, più organizzato?
«Non mi sarei mai permessa. “Tra me e te non c’è mai stato il più piccolo screzio” mi ha detto più volte. Me lo ha ripetuto anche in questi ultimi giorni e mi ha emozionato. Era un ottimo ‘capo’».
Qual è stato, secondo lei, il momento più difficile del suo mandato a Ravenna?
«Sicuramente la tragedia della Mecnavi. Lo ha colpito immensamente: quando seppe che qualcuno si era presentato alle famiglie di alcune delle vittime che lavoravano in nero per chiedere i documenti, e che la posizione di alcuni ragazzi fu ‘regolarizzata’ dopo che erano già morti, non se ne faceva una ragione. Fu come se lo avessero schiaffeggiato».
E il momento più bello?
«Sicuramente la visita di papa Wojtyla a Ravenna e in Romagna. Una visita che ideò e propose lui».
Poco meno di tre anni fa il cardinale ha deciso di andare a riposo. Le è dispiaciuto concludere questo sodalizio?
«Lavorando con lui ero preparata a qualunque sorpresa o imprevisto. E poi il cardinale non è mai stato dipendente da nessuno, era un uomo libero. Libero dentro».

di Annamaria Corrado