Ravenna, 14 ottobre 2013 - DAVIDE Valpiani, il forlivese 49enne condannato all’ergastolo per l’omicidio di via Ficocle (il 4 agosto del 2005, a Pinarella), si è tolto la vita nel penitenziario di Perugia dove si trovava recluso da qualche anno. Il suo cadavere è stato trovato ieri mattina dagli agenti della polizia penitenziaria. Era riverso sul pavimento della sua cella, la testa infilata in un sacchetto e, lì vicino, il fornelletto con cui aveva trasformato il sacchetto in una minuscola camera a gas. Solo due giorni prima, chiudendo la periodica telefonata con il suo difensore ravennate Gianluca Alni, Valpiani aveva ancora una volta insistito sulla propria estraneità a quell’omicidio: «Sono innocente, avvocato, la prego faccia qualcosa». E proprio all’avvocato ravennate, unico contatto esterno che era rimasto a Valpiani (il figlio trentenne aveva rotto da tempo ogni relazione), faceva riferimento il biglietto trovato nella cella e scritto pochi istanti prima di morire: «Avvertite l’avvocato Alni».
 

«LA NOTIZIA della morte di Davide mi ha profondamente colpito. L’avevo sentito venerdì. La sua voce era flebile, sapevo che da tempo le sue condizioni di salute non erano delle migliori, soprattutto dal punto di vista psichico. Era in uno stato di profonda depressione tanto che era stato sottoposto a una serie di accertamenti clinici e proprio venerdì mi aveva detto che la perizia aveva concluso per l’incompatibilità del suo stato con la detenzione in carcere. Mi aveva anche detto che attraverso un avvocato di Perugia, che lo seguiva sotto il profilo dell’esecuzione della pena, era in corso la ricerca di una struttura adeguata che potesse accoglierlo. Purtroppo non ha resistito. Davide non ha mai accettato la condanna all’ergastolo, si è sempre proclamato innocente e l’ha fatto anche nel chiudere la telefonata di venerdì».


LA CONDANNA all’ergastolo gli era stata inflitta dalla Corte d’Assise di Ravenna il 24 novembre 2008. La sentenza fu poi confermata in appello e in Cassazione e un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo è stato dichiarato inammissibile alcuni mesi fa. Valpiani, al termine di un processo ricco di colpi di scena (il principale teste d’accusa, un trans lituano, Linas Lipeika, ritrattò le dichiarazioni rese nel corso delle indagini: «Non ho mai detto che a sparare fu Valpiani», ma non se ne tenne conto) fu riconosciuto responsabile dell’omicidio del forlimpopolese Vincenzo Di Rosa, fratello della donna che in quel momento, appunto il 2005, era la sua compagna. Movente indicato, la riscossione del risarcimento di 800mila euro relativo a due polizze-infortuni (malattia e morte) che Valpiani aveva convinto Vincenzo a stipulare proprio poche settimane prima della morte. Beneficiaria delle polizze, la compagna che ha poi rinunciato agli indennizzi.
 

IL CADAVERE di Di Rosa fu trovato riverso sull’asfalto di via Ficocle, un colpo di revolver in testa. La sentenza ha stabilito che l’omicidio era stato commesso da almeno due persone, ma sul secondo uomo di via Ficocle non sono mai state svolte indagini e ancora oggi, quindi, quell’omicidio rimane in parte insoluto e un altro assassino è in libertà. E’ doveroso sottolineare che nel corso dell’indagine preliminare il pm a capo del pool di magistrati che coordivano le investigazioni, Gianluca Chiapponi, abbandonò l’incarico in disaccordo con gli altri proprio sulla valutazione degli indizi, soprattutto testimoniali, a carico dell’indagato.
 

VALPIANI era finito alla ribalta della cronaca nazionale anche alla fine degli anni Novanta quando fu accusato, finendo in carcere, di aver ucciso entrambi i genitori (movente, l’eredità) mascherando la realtà, nel caso della madre, con un suicidio nella vasca da bagno e, nel caso del padre, con una morte naturale da malore. In Corte d’assise l’accusa non resse, e Valpiani venne condannato esclusivamente per non aver adeguatamente assisto il padre malato, nella sua casa estiva di Lido di Savio.

di Carlo Raggi