Ravenna, 17 novembre 2013 - IL GIUDICE del lavoro Roberto Riverso gli aveva riconosciuto, come a migliaia di altri lavoratori, l’esposizione all’amianto (con tutti i gravissimi rischi di malattie anche mortali che comporta) per un periodo superiore a dieci anni e questo gli aveva permesso di usufruire dei benefici pensionistici connessi. Ma quella sentenza è stata riformata dai giudici della Corte d’appello e ora l’interessato, Nazareno Tarquini, già dipendente Anic-Enichem per tutto il 1962 e poi dal 1964 al 1992, dovrà restituire all’Inps ben 62 mila euro, ovvero l’ammontare di quei benefici che i giudici d’appello gli hanno negato e che l’Inps gli aveva erogato a cominciare dal primo febbraio 1993, anno in cui Tarquini andò in pensione. La restituzione avverrà trattenendo 392 euro al mese a partire dal primo gennaio.

LA VICENDA sconcerta perché segnata da una circostanza contraddittoria: il perito che i giudici d’appello avevano nominato, ovvero il responsabile della medicina del Lavoro del Sant’Orsola, nella sua prima relazione consegnata il 20 maggio 2009, aveva concluso affermando che Tarquini ‘è stato esposto all’amianto per un periodo superiore ai dieci anni’ e anche se non si può ‘stabilire con certezza che il livello di esposizione sia stato superiore al limite di 100 fibre per litro’, comunque ‘si può ipotizzare che la concentrazione di fibre all’interno degli stabilimenti’ Anic-Enichem, almeno fino agli inizi degli anni Novanta, ovvero prima ‘delle operazioni di bonifica’, sia stata ‘superiore a tale limite’; richiesto dai giudici di una precisazione, il 13 novembre 2010 il perito consegnò una relazione in cui affermava esattamente il contrario, nel senso che ‘nonostante il periodo lavorativo superi i dieci anni, non può essere affermato che tale periodo fosse caratterizzato con assoluta certezza dall’esposizione professionale con caratteristiche tali da ingenerare le patologie note e descritte’.

Inutile fu la richiesta del legale che tutelava Tarquini di sentire in udienza il perito: per i giudici d’appello la sentenza del giudice Roberto Riverso doveva essere censurata e così fu a nulla rilevando che altri colleghi di lavoro che con Tarquini avevano condiviso mansioni e ambienti abbiano potuto invece mantenere i benefici. E uno di loro sia deceduto per una malattia connessa all’inalazione delle fibre di amianto, a riprova che quegli ambienti erano ben pericolosi e generatori delle micidiali patologie amianto-correlate. D’altronde l’inchiesta condotta negli ultimi anni dal pm Roberto Ceroni sui morti da amianto all’Enichem e per la quale a metà dicembre è fissata l’udienza preliminare prova proprio questo: che fra l’amianto e i tanti morti del Petrolchimico c’è un nesso di causa ed effetto. E fra quei morti ci sono colleghi di lavoro di Tarquini.

A RAVENNA il giudice Riverso, uno dei massimi esperti a livello nazionale in tema problematiche giuridiche connesse all’ amianto, ha adottato nel tempo migliaia di sentenze con cui sono stati riconosciuti i benefici della legge del 1992, senza mai aver disposto alcuna perizia ritenendo che fossero ben sufficienti le prove documentali e testimoniali sulla presenza dell’amianto all’Enichem (come in altri ambienti) e ritenendo irrilevante (oltre che impossibile) la determinazione della concentrazione delle fibre; d’altra parte l’atto di indirizzo del Ministero del Lavoro del marzo 2001 riconobbe come esposti all’ amianto ‘tout court’, nell’ambito del Petrolchimico di Ravenna, proprio gli operatori manutentori.
Contro la richiesta dell’Inps, Tarquini non sembra intenzionato a ricorrere, mentre la vicenda principale verrà esaminata dalla Cassazione non prima di qualche anno.

di Carlo Raggi