Ravenna, 13 aprile 2014 - A LUNGO il silenzio della chiesa ravennate ha fatto rumore. Un mutismo imparentato all’arroccamento in un mondo invece diventato così grande da doversi aprire sempre di più. Ma dopo il caso don Desio, niente può essere più come prima: tentennamenti e silenzi vanno per forza superati.

Perché solo un totale cambio di rotta può superare la tempesta dello sconcerto in cui è sballottata la curia dopo lo scandalo di Casal Borsetti. Non bisogna temere di guardare ai propri errori, peggio sarebbe cercare di non correggerli. E mons. Ghizzoni lo sa. Serviva un segnale forte, lui l’ha dato, finalmente aprendosi un po’ anche all’opinione pubblica. Conscio della gravità della situazione ha preso da parte il suo gregge ordinando: bisogna cambiare.

Ora in tanti, da fuori, dicono: bisognava agire prima. Certo. Però attenzione, il segnale forte non è il decalogo, zeppo di regole rivoluzionarie quanto difficili da osservare in una realtà complessa come la nostra, dove accadrà ancora un milione di volte che un educatore si ritrovi con un ragazzino da solo in auto, in una tenda, in una stanza. No, il segnale forte è il confronto nel ‘conclave’ di San Pietro in Vincoli, simbolo del punto di non ritorno in cui lo scandalo don Desio, solo l’ultimo di una catena di guai, ha proiettato la diocesi ravennate, Così non si può più andare avanti, si saranno detti, e di certo con toni forti. Anche perché il rischio più grande è buttare via per colpa di pochi il buon lavoro di tanti che hanno fatto della vocazione una missione. E non possiamo permettercelo. Perché in una società come questa, arida, egoista e isolatasi negli alienanti social network, c’è ancora bisogno di oratori, di educatori capaci di ascoltare e insegnare. Di qualcuno in cui credere.

Andrea Degidi