Ravenna, 20 aprile 2014 - È un messaggio chiaro quello che l’arcivescovo Lorenzo Ghizzoni sta lanciando alla sua comunità di fedeli dopo i casi di cronaca che stanno scuotendo la diocesi: «Non chiudiamo gli occhi, perché ci sono di mezzo delle persone che hanno sofferto, che soffrono; qualcuno ha anche delle colpe. Se siamo caduti, chiediamo perdono, a tutti; se siamo ancora dentro qualche schiavitù invochiamo aiuto dai fratelli, senza nasconderci, lasciandoci soccorrere».

Un’indicazione per certi versi rivoluzionaria, certamente nuova, che tende a portare alla luce, piuttosto che oscurare, le tante e pesanti difficoltà che la curia sta vivendo - basti pensare all’equipe antipedofilia appena istituita. Un’eredità pesante quella ricevuta dal predecessore, monsignor Verucchi, cominciata con il caso Galletti Abbiosi e proseguita con le accuse di abusi sessuali per il parroco di Casal Borsetti, passando per il parroco di Punta Marina indagato per lesioni e il parroco emerito di San Biagio ricattato per presunte molestie.

Monsignor Ghizzoni la chiesa di Ravenna sta vivendo un momento difficilissimo, come affronterà questa Pasqua?
«Difficile fare festa, ma la Pasqua in questo momento capita provvidenzialmente. È proprio questa la festività che mette noi cristiani di fronte alla possibilità di ricominciare, di rinnovarci. C’è un dono che viene dall’alto, la Grazia, che si rivolge a tutti perché tutti abbiamo zone d’ombra e fragilità».
Le zone d’ombra della chiesa ravennate negli ultimi tempi sembrano fin troppe e in molti si chiedono se la Curia sapesse. Prendiamo il caso più clamoroso di don Giovanni Desio. Lei non aveva avuto indicazioni in merito?
«No, non mi aspettavo nulla di tutto ciò. Nessuno aveva mai denunciato a me personalmente l’eventualità che dietro le sue attività potessero esserci reati sessuali con minorenni. È un caso che ci ha colpiti tutti e abbiamo cercato di reagire inventando anche soluzioni nuove».
Parla dell’equipe di esperti antipedofilia?
«Sì, è una novità assoluta e mi auguro che ci aiuti per darci uno stile nuovo, per affrontare in maniera più consapevole questo tipo di gravi problemi. Sia per la prevenzione che per la valutazione e le decisioni da prendere qualora ci si trovasse di fronte a notizie di comportamenti ambigui o sospetti verso i minori».
Hanno fatto molto discutere anche le sue direttive di comportamento: non stare da soli con i minori, non parlare a un adolescente senza testimoni. Non si scontrano col messaggio evangelico ‘Lasciate che i fanciulli vengano a me’?
«No, affatto. Le indicazioni chiedono di continuare a portare avanti tutte le attività con i giovani ma con una attenzione e modi di fare nuovi che permettano a tutti, inclusi educatori e coloro che gravitano nel mondo educativo, di agire con trasparenza. È una attenzione che molti già avevano, si tratta di tenere i confini».
I sacerdoti non si sono sentiti sminuiti nella sua fiducia nei loro confronti?
«No, non è questione di fiducia ma di dare un messaggio chiaro. Con i sacerdoti ci sono stati incontri, il tema è stato accuratamente affrontato».
Venerdì sera, nonostante il momento buio, tantissimi fedeli hanno preso parte alla Via Crucis. Se lo aspettava?
«Sinceramente no, non mi aspettavo un partecipazione così ampia. Questa risposta l’ho letta come un segno di unione: in certi momenti difficili si può reagire meglio se si è uniti. Il segnale è: lavoriamo insieme per affrontare queste gravi difficoltà».
Di cosa ha più bisogno oggi la curia ravennate?
«La nostra chiesa ha bisogno di un rinnovamento spirituale, interiore, più che di un rinnovamento delle opere. Ci stiamo lavorando cominciando ad affrontare per primi i problemi più grossi che sono apparsi. Un altro prolbema, certamente da non sottovalutare, è dare ai giovani la possibilità di incontrare valori importanti, che se si radicano in gioventù poi rimangono fari per tutta la vita. E qui c’è il nostro grande compito: non solo riparare i danni ma fornire i valori essenziali».
Un compito che sembra più difficile alla luce dei recenti casi di cronaca.
«Distinguamo i casi: la cronaca li accomuna, anche a causa del periodo limitato nel quale si sono verificati, ma a parte il caso specifico gravissimo di don Giovanni, gli altri non sono diversi da quelli che possono succedere in altri territori, già visti anche altrove. L’unità è la nostra forza, lavoriamo insieme, non progettiamo funerali quindi, ma rinnovamento e guarigione, conversione e lotta spirituale».

Leda Santoro