Lugo (Ravenna), 2 giugno 2014 - L’infermiera. Anche se nel Ravennate ce ne saranno a centinaia, quando dici così ormai tutti pensano solo a lei, la protagonista del giallo dell’ospedale Umberto I di Lugo. Il tempo passa e di giorno in giorno il labirinto si fa più fitto e cangiante. Perché ad ogni curva spuntano scenari talmente sorprendenti da far quasi dimenticare il principale filone d’indagine che pende sopra il capo della lughese: l’accusa di omicidio volontario per una paziente di 78 anni, morta improvvisamente l’8 aprile scorso nel reparto di Medicina dell’ospedale di Lugo con nel sangue una quantità di potassio giudicata eccessiva, e quindi sospetta.

Un’inchiesta mai facile in casi come questi, perché il potassio è sostanza diabolica, capace di far perdere le proprie tracce già poche ore dopo il decesso. Per questo gli inquirenti sanno che difficilmente arriverà una risposta certa dalle analisi sui liquidi biologici prelevati dalla vittima, per non parlare degli altri 38 casi finiti sotto la lente. Ad un tratto però l’inchiesta ha spalancato davanti ai loro occhi una strada parallela, impensabile, e questa sì piena di quei riscontri mancanti nel primo caso. Una pista che ha condotto gli investigatori nel mondo sotterraneo dell’infermiera. E da quel sottobosco è venuto fuori di tutto. A cominciare dalle foto-choc che l’infermiera si è fatta scattare da una collega col cellulare. La prima la ritrae con i pugni chiusi e i pollici alzati vicino a una donna appena deceduta, la seconda col volto deformato da una smorfia a imitare la contrazione del volto di un’anziana deceduta.

«In tanti anni non avevo mai visto immagini del genere», ha detto il procuratore capo di Ravenna Alessandro Mancini che segue l’inchiesta condotta dal pm Angela Scorza. Ma non finisce qui, all’infermiera sono stati ricondotti vari furti in reparto. Soldi innanzitutto, sottratti a degenti, badanti. A un vecchietto che lamentava la sparizione di 50 euro la donna avrebbe risposto: «Cosa ti lamenti, te ne sono rimasti 10. E poi qui dentro il danaro non serve». Un’altra volta l’infermiera avrebbe scaricato la responsabilità del furto a una badante rumena, che per dimostrare la propria innocenza si spogliò nella stanza. Ma non solo denaro. L’infermiera avrebbe sottratto anche pasti completi, omogeneizzati, saponi, lenzuola.

E medicinali: «Ti rendi conto che ti stai portando a casa 600 euro di farmaci?» le disse la dottoressa. E lei serafica: «Sono per una persona che paga le tasse». Gli inquirenti hanno scavato a fondo in questa nuova direzione e alla fine le ipotesi di reato a carico della donna si sono moltiplicate, ora sono 4: oltre a quella per omicidio volontario c’è vilipendio di cadavere per le foto, furto aggravato per un caso del 2013 e ora furto aggravato e peculato. L’ultima goccia ha spinto la Procura a chiedere gli arresti domiciliari, ma il gip ha ritenuto sufficiente l’obbligo di firma. E l’Ausl di Ravenna? Vive un momento di grande imbarazzo. Il 23 maggio sono stati indagati il primario e un medico del reparto dove morì la 78enne, e il direttore sanitario dell’ospedale.

Il motivo? Dovevano denunciare subito il caso, visto che presentava evidenti aspetti oscuri. L’Ausl, che ha sospeso l’infermiera sottoponendola a due procedimenti disciplinari, si è difesa con comunicati scarni: «Non si discute il livello di sicurezza delle cure». Ma i furti seriali venuti alla luce nel weekend aggiungono una pennellata desolante al quadro già cupo di quel reparto. Foto choc col morto, furti su furti, di ogni tipo, in corsia, magazzino, cucina: insomma, possibile che nessuno sapesse nulla? Impossibile, fanno capire gli investigatori. Il ritratto è mortificante. E un inquirente arriva ad ipotizzare: «Se l’infermiera fosse stata fermata in tempo sul fronte dei furti, forse non si sarebbe giunti allo scenario più preoccupante su cui si sta indagando» alludendo alla morte sospetta di Rosa Calderoni e agli altri 38 decessi su cui per sempre rimarranno dubbi. Ma l’impressione è che le sorprese non siano ancora finite.

Andrea Degidi