Ago in pancia per 14 anni: chiede i danni

Una donna di Ravenna vittima di un errore in sala operatoria ha dovuto convivere con dolori lancinanti

Un errore in sala operatoria durante un’operazione (foto di repertorio)

Un errore in sala operatoria durante un’operazione (foto di repertorio)

Ravenna, 16 giugno 2021 - Per più di 14 anni ha convissuto con un ago chirurgico di tre centimetri e mezzo nell’addome. Un frammento ricurvo e metallico che, dopo essere migrato nel suo corpo da destra verso sinistra lasciandosi dietro una specifica piaga, l’ha accompagnata e tormentata in tutte le sue attività, dal lavoro alle passeggiate in bicicletta. Anni trascorsi a domandarsi la ragione di quel dolore improvviso e persistente che la costringeva a pause dal resto della sua vita fino a giungere anche a farsi asportare l’appendice. Finché un giorno da una risonanza magnetica, è uscito questo responso: “probabile presenza di materiale metallico”, ovvero “ago chirurgico verosimilmente residuato da pregresso intervento sull’addome”.

Ecco spiegata la ragione dei suoi tormenti: e così ora la donna – una sessantenne di Ravenna – attraverso i suoi avvocati Fabio Fanelli e Federica Mariani, ha intrapreso l’iter per farsi riconoscere un risarcimento dalla struttura ospedaliera bolognese nella quale era stata operata. I legali hanno depositato al tribunale civile di Ravenna la richiesta per un accertamento tecnico preventivo finalizzato al riconoscimento di ogni danno lamentato: un atto attraverso il quale fare luce sulla vicenda, a partire dalle possibili responsabilità ospedaliere per continuare con le sofferenze, anche piscologiche, patite dalla donna. Una consulenza (di parte) già esiste: è datata 4 marzo scorso e in quella il medico legale Sara Benedetti, incaricata dalla sessantenne, ha individuato una chiara origine dell’ago: intervento in laparoscopia del 21 settembre 2004 nella struttura felsinea ora chiamata in causa. L’ago è stato attribuito in maniera specifica a quella manovra, e non ad altre, per via delle sue dimensioni peculiari.

Sì, perché la donna, sin dalle dimissioni, aveva iniziato a lamentare dolori al fianco destro che l’avrebbero portata su un altro lettino chirurgico: questa volta in una struttura di Ravenna a fine aprile 2005 per una appendicectomia sempre per via laparoscopica. Ma nemmeno così il dolore si era placato. E dopo anni di antidolorifici seminati al vento e di svariati accessi al pronto soccorso, nel luglio del 2016 sempre a Ravenna la risonanza aveva finalmente scovato l’ago. Erano seguiti altri esami di conferma dai quali era emerso che la “formazione filiforme di 35 mm, di aspetto ricurvo e densità metallica”, si era fermata “a livello del tessuto adiposo addominale in emi-addome sinistro”. E finalmente il 29 ottobre 2018 a Pesaro, era seguito un nuovo ricovero con operazione di rimozione di quel corpo estraneo che – secondo il medico legale - stava “alla base del processo infiammatorio e del persistente dolore”. Non solo: sempre secondo la medesima consulenza, “vi è ragione di ritenere che alla base del quadro chirurgico che condusse alla diagnosi di appendicite acuta, vi fosse in realtà proprio la ritenzione del corpo estraneo”.

Come dire che probabilmente la donna non aveva bisogno di essere operata all’appendice dato che l’origine del suo dolore era ben altra. Una origine che, sempre secondo il medico legale, determina “un forte giudizio di critica nei confronti dell’equipe chirurgica che eseguì l’intervento del settembre 2004”. Le conseguenze, secondo quanto lamentato dai legali della sessantenne, sono state tante e durature: basti pensare alla modifica delle abitudini tra lunghi periodi di assenza dal lavoro alla rinuncia a ferie e viaggi con una qualità di vita precaria. E soprattutto senza che nessuno per tanto tempo fosse stato in grado di dirle a cosa era dovuto quel dolore che continuava a tormentarla.