Omicidio di Pia Rossini, chiesto l’ergastolo per Merendi

La dura requisitoria del pm Stargiotti: "Anaffettivo e fallito come figlio"

Secondo Merendi, accusato di aver ucciso la madre Pia Rossini

Secondo Merendi, accusato di aver ucciso la madre Pia Rossini

Ravenna, 6 dicembre 2016 - Impassibile. Non batte ciglio neppure quando il pubblico ministero, al termine di quattro ore di requisitoria, pronuncia quella parola che anche al più spietato degli assassini farebbe correre un brivido lungo la schiena: ergastolo. Anzi. A Secondo Merendi, il 58enne accusato di avere strozzato e ucciso nella casa di Barbiano la madre 81enne Pia Rossini la mattina del 14 aprile 2015, sfugge anche un sorriso parlando con una guardia attraverso il vetro della gabbia.

Eppure da ridere c’è ben poco. Sulla sua colpevolezza il pm Stefano Stargiotti ritiene di avere certezze blindate. E punta al massimo della pena chiedendo alla corte d’assise, presieduta dal giudice Milena Zavatti – Corrado Schiaretti a latere più sei giudici popolari – quattro aggravanti: premeditazione, ascendenza diretta, minorata difesa e coabitazione. E nessuna attenuante in ragione della condotta precessuale: «Ha raccontato bugie sin dal primo istante», «non ha mai mostrato alcun segno di pentimento» e «ha mentito anche alla corte, dicendo di aver saldato debiti con pagamenti inesistenti».

Lo descrive «assente come padre e nonno, fallito come figlio». Che, soprattutto, «ha dato alla madre, mentre si rendeva conto che l’assassino era il figlio che aveva amato e viziato, un dolore psicologico superiore a quello fisico, quando le mancava l’ossigeno» mentre lui la sorprendeva di spalle soffocandola «per 4-5 minuti» col braccio destro stretto intorno al collo della povera donna. Tanto che sui polsini della camicia di Pia vengono trovate fibre di quella di Merendi, rilasciate mentre lei tentava di liberarsi da quella stretta mortale. E, viceversa, frammenti della camicia rossa di Pia su quella blu del figlio, proprio ad altezza braccio.

Ma la discussione finale, che precede la sentenza prevista a metà mese, si apre con l’audio di una telefonata. E’ quella che fa Merendi al 118, senza far trasparire alcuna emozione: «Mia madre ha una corda legata al collo». Sono le 11.52 di quel martedì. Pochi minuti dopo un vicino e cognato della vittima, Umberto Poli, allertato da Merendi, chiama il 112 in lacrime: «Hanno ammazzato una signora, sono stati i ladri». Glielo aveva appena confidato Secondo. La borsa rovesciata, armadi aperti, il copri televisore aperto e 200 euro spariti: qui inizierebbe la messinscena del figlio, un tentativo di furto finito in tragedia. Ma nel suo portafogli vengono rinvenute quattro banconote da 50 euro. E, fatto insolito, i gioielli non sono stati toccati.

Il Pm smonta l’alibi dell’imputato. Il quale racconta di essere uscito dalle 10.45 alle 11.45 per vedere gli orari del medico, dove avrebbe portato la madre per un problema all’occhio. Ma fa un giro inspiegabile: medico a Barbiano, Lugo, poi dal medico di nuovo perché si sarebbe scordato di guardare gli orari. Eppure quel giorno il dottore non faceva ambulatorio. Cosa aspettava in quell’ora? Che il vicino tornasse, per inscenare il ritrovamento della madre senza vita.

A suo carico, è certo Stargiotti, tanti indizi: «Quando la vede a terra non fa nulla, come verrebbe spontaneo a qualsiasi figlio», dipinto come «anaffettivo». Ma, soprattutto, prove scientifiche: sulla cintura, pure una messinscena successiva allo strozzamento col braccio, «la firma dell’assassino: solo il Dna del figlio, alle due estremità. Il quale prima racconta che non usava quell’accappatoio, poi quando troviamo il Dna dice che con la cintura chiudeva la vestaglia, mai trovata». I medici legali collocano il decesso entro le 10, quando Merendi era ancora in casa. Su questo aspetto la difesa dell’avvocato Serafino Tabanelli dà battaglia. Contesta le perizie, in quanto inizialmente collocano il decesso «dalle 8 alle 9», mentre Pia viene vista viva alle 9.33. «Assoluta inceretezza sull’orario, i primi a dirlo sono i medici», salvo poi precisare ‘prima delle 10’, quindi «facendo aggiutamenti inaccettabili».