Ravenna, processo all'ex infermiera Poggiali, tutti in Cassazione contro l'assoluzione

"Annullate l’assoluzione e disponete un nuovo processo". I figli di Rosa Calderoni: "Annullate la sentenza e dateci un nuovo processo"

Daniela Poggiali esce dal carcere (Foto Schicchi)

Daniela Poggiali esce dal carcere (Foto Schicchi)

Ravenna, 21 ottobre 2017 - Prossima tappa la cassazione. Ieri, alla scadenza del termine ultimo per presentare ricorso contro l’assoluzione, tutte le parti civili, ovvero oltre ai due figli della defunta anche l’Ausl Romagna, avevano già depositato le loro richieste per la suprema corte. Contro l’assoluzione, salvo clamorose sorprese, si è mossa per tempo anche la procura generale con un proprio documento, come del resto aveva annunciato con ampio anticipo il procuratore generale bolognese.

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In caso contrario per l’accusata, la 45enne ex infermiera Ausl Daniela Poggiali, già da oggi sarebbe passata in giudicato la clamorosa assoluzione pronunciata a luglio dai giudici bolognesi con contestuale scarcerazione dopo 1.003 giorni in cella. E i ricorsi delle parti civili avrebbero avuto eventuale effetto solo sui risarcimenti e non sulla pena.

In ogni caso va qui ricordato che quello della cassazione è un giudizio di legittimità e non di merito: i magistrati dovranno dirci solo se la decisione presa a luglio, abbia seguito o meno un percorso logico e se non presenti evidenti contraddizioni.

Chi senza mezzi termini ha chiesto agli Ermellini che la sentenza assolutoria venga annullata con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Bologna, sono i due figli della paziente Rosa Calderoni, la 78enne di Russi morta l’8 aprile 2014 all’ospedale di Lugo a poche ore dal ricovero. Secondo l’accusa, uccisa da un’iniezione di potassio: contestazione che in primo grado a Ravenna nel marzo 2016 era costata l’ergastolo alla Poggiali.

IN SEGUITO alla perizia disposta in appello, l’imputata, difesa dall’avvocato Lorenzo Valgimigli, era stata assolta non perché non c’è prova della sua colpevolezza – aveva in buona sostanza esposto la corte bolognese nelle motivazioni – ma perché quella dell’innocenza è l’ipotesi di gran lunga prevalente. La morte della paziente sarebbe cioè stata dovuta a evoluzione naturale del quadro clinico, con particolare riferimento a un possibile scompenso glicemico. Censure erano inoltre state espresse sul meccanismo che aveva consentito di isolare tra i rifiuti ospedalieri il deflussore della flebo ricondotto alla 78enne e con elevate concentrazioni di potassio all’interno.

In merito, l’avvocato cassazionista Marco Martines nel suo ricorso per conto dei figli della defunta ha, tra le altre cose, fatto presente che se la corte d’appello nutriva dubbi sulla catena di custodia di tale reperto, avrebbe potuto benissimo disporre l’audizione dell’allora dirigente infermieristico Taglioni e dell’allora direttrice ospedaliera Zoffoli: ovvero le due persone che se ne occuparono.