"Il deflussore con tracce di potassio gettato per sviare le indagini"

Nuovi particolari nell'indagine che ha portato in carcere l'infermiera di Lugo, Daniela Poggiali

Immagine di repertorio

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Ravenna, 12 ottobre 2014 - Quindici pagine di ordinanza di custodia cautelare per riassumere sei mesi di indagini, per una sintesi delle investigazioni scientifiche svolte dai quattro consulenti della Procura e dell’enorme attività dei carabinieri del Nucleo investigativo che hanno sentito e risentito quasi un centinaio di persone; quindici pagine da cui emergono netti — secondo il gip Rossella Materia — quei ‘gravi indizi di colpevolezza’ che hanno portato in carcere giovedì sera l’infermiera 42enne lughese Daniela Poggiali.

L’inchiesta ha preso l’avvio dalla segnalazione che il 10 aprile l’Ausl inviò al Procuratore della repubblica Alessandro Mancini; si trattava della relazione svolta dal direttore del servizio infermieristico e tecnico dell’Ausl, Mauro Taglioni, e dal direttore del presidio ospedaliero Ivonne Zoffoli in cui sono ‘circostanziati fatti avvenuti presso l’unità operativa dell’ospedale di Lugo e che potrebbero rappresentare reati perseguibili d’ufficio’. La relazione introduce dapprima il dato statistico di 38 decessi su 83 avvenuti nei primi tre mesi del 2014 in presenza di Daniela Poggiali, poi evidenzia che l’ospedale aveva avviato una sua indagine interna con il prelievo dai contenitori dei rifiuti ospedalieri, di flaconi e cannule di flebo praticate a tre pazienti deceduti, risultati comunque negativi all’analisi per la ricerca di cloruro di potassio. Contemporaneamente fu disposto il ‘sequestro’ di tutto il materiale utilizzato in reparto e gettato nei contenitori-discarica per renderlo utilizzabile per eventuali indagini.

Ancora, si legge nella relazione che è agli atti dell’inchiesta, quando il 4 e il 5 aprile morirono altri due degenti e la Poggiali era in turno, la dirigenza dell’ospedale decise ‘a scopo cautelare’ di spostare l’infermiera dal turno notturno (c’è un solo infermiere in reparto) a quello diurno. E siamo così giunti alla mattina dell’8 aprile, mattina in cui era di turno la Poggiali. Subito dopo il decesso di Rosa Calderoni, furono recuperati i 4 flaconi della terapia endovenosa effettuata durante il ricovero e il deflussore con il catetere periferico venoso con residui di liquidi e sangue. Il deflussore era stato staccato dal resto della flebo (‘per sviare le indagini e rendere arduo accertare a quale flebo si riferisse e quindi a quale paziente’, annoterà il gip nell’ordinanza), ma, si legge nella relazione ‘è presumibile sia riferibile a Rosa Calderoni’.

Il deflussore fu subito analizzato nel laboratorio Ausl e fu riscontrato un valore di 77,07 millimoli per litro (unità di concentrazione) di cloruro di potassio, ‘un valore non corrispondente ad uso terapeutico’ annota l’ospedale. Lo stesso 8 aprile Daniela Poggiali fu messa in ferie, mentre il 9 fu eseguita l’autopsia clinica alla salma di Rosa Calderoni. Ancora nella relazione si annota che il 2 aprile era stata trovata, da un’infermiera, su un carrello ospedaliero una scatola con tre fiale di cloruro di potassio, quando invece, come da protocollo, quelle fiale dovevano essere custodite in ambiente diverso da quello dei farmaci. Sempre nella relazione inviata alla Procura, si annotano come sospetti anche i due decessi del 30 e del 31 marzo.

Fu così che, la mattina del 10 aprile la Procura fece scattare le indagini che portarono di lì a poco alle perquisizioni in reparto e nell’abitazione di Daniela Poggiali e che ora l’hanno condotta in carcere. Fu subito sentito il personale che in qualche modo aveva partecipato alla mini-inchiesta interna che confermò tutto; contestualmente la Procura diede il via all’inchiesta parallela che vede indagati il primario, un medico e il direttore sanitario per aver ritardato al 10 aprile quella segnalazione quando, secondo la Procura, il sospetto del reato era evidente fin dall’8 aprile, subito dopo la morte di Rosa Calderoni. Resta comunque il fatto che l’analisi effettuata dall’ospedale sulla concentrazione di cloruro nel deflussore è stata confermata dalle analisi dei consulenti. Un dato cui va aggiunto quello della concentrazione abnorme di cloruro di potassio trovato nell’umor vitreo oculare della Calderoni e così il cerchio può considerarsi chiuso.