Caso infermiera: "Autopsie con richieste strane anche prima della morte della 78enne"

E un primario aveva pensato a "investigazioni interne" a Lugo VIDEO L'infermiera in tribunale a Ravenna

L'infermiera Daniela Poggiali

L'infermiera Daniela Poggiali

Ravenna, 18 ottobre 2014 - A UNA settimana dall’arresto di Daniela Poggiali, la Procura della Repubblica punta ora a definire al meglio possibile lo scenario dei 38 decessi in tre mesi nel reparto di medicina in coincidenza con i turni dell’infermiera in carcere con la pesante accusa di omicidio volontario e, all’interno di tale scenario, si punta a sviscerare quei casi ‘molto sospetti’, come definiti dal Procuratore Alessandro Mancini, e che sarebbero una decina. Anche in questo caso il materiale investigativo è stato sostanzialmente raccolto nei primi due mesi di indagini, fra aprile e maggio, ma ora si tratta di rivisitare le testimonianze e cercare eventuali chiarimenti. Si tratta, soprattutto, per quanto possibile, di incrociare, attraverso le testimonianze, le cartelle cliniche e i turni di servizio, quelle morti all’operatività in concreto dell’infermiera. Un lavoro di cui sono incaricati, come per tutte le indagini svolte, i carabinieri del Nucleo Investigativo provinciale. VA DA sè che in prima battuta la Procura non dispera di concretizzare, a livello indiziario, uno o più casi da ascrivere alla materiale condotta di Daniela Poggiali, ma è assai probabile che questa prospettiva vada in concreto delusa considerando due ordini di fattori: non è in alcun modo possibile individuare la precisa causa della morte di quelle persone mentre dall’altra parte non sono certo sufficienti le testimonianze dei familiari per collegare quelle morti ai comportamenti (sospetti) dell’infermiera. QUESTA attività investigativa è invece molto importante in vista del processo, eventualmente in Corte d’Assise, a carico della Poggiali per la morte di Rosa Calderoni. Inserire i già raccolti gravi indizi a carico dell’infermiera in uno scenario di altre morti inspiegabili nel loro improvviso accadimento e con un ‘balletto’ di fiale di potassio scomparse, di tubicini, farfalle e deflussori utilizzati a fine marzo e mai trovati, indubbiamente potrà costituire un’arma in più, pur suggestiva, in mano alla pubblica accusa.  UNO SCENARIO, quello del balletto di fiale, tubicini e deflussori, estremamente inquietante. Dei tre pazienti deceduti il 30 e il 31 marzo, gli operatori sanitari, già in allarme, recuperarono le bottiglie delle flebo utilizzate, ma non i cateteri, i deflussori, gli aghi. Nelle bottiglie non c’erano tracce di potassio. Un dato che gli inquirenti ritengono neutro visto che, nel caso della Calderoni, il cloruro di potassio venne immesso nel deflussore. Il fatto è che nei contenitori per i rifiuti ospedalieri non fu trovato altro. Come mai? Perchè, ipotizzano gli inquirenti, quei ‘presidi terapeutici’ recavano la prova dei delitti ed era quindi necessario farli scomparire. Come sono scomparsi il flaconcino contenente il potassio utilizzato per la Calderoni e la siringa con cui il liquido fu verosimilmente immesso nel deflussore.  CERTO che non può aiutare le indagini la circostanza per cui le fiale di potassio all’ospedale di Lugo erano sì custodite in un armadietto, ma non sotto chiave e senza assoggettamento a registrazione. Così non si potrà mai ricostruire nè quante fiale siano state utilizzate nei primi tre mesi del 2014 nè fare un confronto con le indicazioni sull’utilizzo del potassio contenute nelle cartelle cliniche.