Potassio killer, chiesto un milione di danni

I legali dei figli della paziente morta si sono costituiti parte civile e hanno citato l’Ausl

L’ex infermiera Daniela Poggiali è in carcere da un anno

L’ex infermiera Daniela Poggiali è in carcere da un anno

Ravenna, 6 ottobre 2015 - Cinquecentomila euro a testa per un totale di un milione tondo. A tanto ammonta il risarcimento chiesto dai due figli di Rosa Calderoni, la paziente di 78 anni di Russi che secondo l’accusa fu uccisa con una iniezione letale di potassio la mattina dell’8 aprile dell’anno scorso mentre si trovava ricoverata all’ospedale Umberto I di Lugo. In carcere a Forlì per quel delitto da un anno c’è la 43enne ex infermiera Daniela Poggiali, nata a Faenza ma fino alla notte delle manette residente con il fidanzato a Giovecca. la donna dal 16 ottobre prossimo davanti alla corte d’Assise di Ravenna - giudici togati Corrado Schiaretti e Andrea Galanti - dovrà rispondere di omicidio pluriaggravato e del peculato di due fiale di potassio, quelle con le quali ammazzò la paziente secondo le verifiche dei carabinieri dell’Investigativo coordinate dai Pm Alessandro Mancini e Angela Scorza.

Ma non è solo all’ex infermiera che gli avvocati Maria Grazia Russo di Ravenna e Marco Martines di Forlì per conto dei due figli della defunta hanno chiesto il risarcimento milionario. Perché dopo la recente costituzione di parte civile fuori udienza, i legali hanno ottenuto dal Tribunale il decreto di citazione del responsabile civile. Il che significa che tra dieci giorni oltre all’ex infermiera, in aula potrebbe comparire un altro soggetto: l’Ausl, nella doppia veste - insolita ma non inedita - di parte civile contro la Poggiali e di responsabile civile con la Poggiali.

Naturalmente i giudici non si sono ancora pronunciati nel merito della questione, semplicemente costatando che ciò che gli avvocati hanno fin qui sostenuto - ovvero che la Poggiali era dipendente dell’Ausl e che il contestato omicidio che le attribuisce la Procura è avvenuto proprio sul lavoro - non fa una grinza. Tradotto in pecunia significa questo: che se l’imputata dovesse essere condannata e se l’Assise dovesse ravvisare la responsabilità civile dell’Ausl, quest’ultima sarebbe costretta ad accollarsi la cifra stabilita dalla corte visto che l’unica entrata per la 43enne, difesa dall’avvocato Stefano Della Valle, era il suo lavoro. E che ora, da licenziata a causa dei due celeberrimi scatti che la ritraggono sorridente assieme a paziente appena deceduta, può contare solo sul modesto peculio carcerario. Sull’entità dell’eventuale risarcimento, spetterà ancora una volta alle toghe pronunciarsi. Le tabelle di settore - quelle di Milano - indicano cifre prossime ai 300 mila euro: ma fanno riferimento a eventi colposi, e qui invece siamo di fronte a un omicidio. C’è poi da vedere come l’assicurazione dell’Ausl potrebbe comportarsi di fronte a un evento simile, ancora una volta perché le coperture di solito funzionano per eventi accidentali: l’iniezione letale non viene proprio contemplata.

E tuttavia la variabile principale su quel milione di eventuali risarcimenti è lei, l’istrionica Poggiali: pronta a dare battaglia come già dimostrato anche per riavere il suo lavoro.

In cella continua a proclamarsi innocente e a proiettarsi al centro delle attenzioni delle altre detenute. Avrebbe potuto scegliere l’abbreviato e scongiurare forse il rischio ergastolo con lo sconto di un terzo della pena previsto da tale tipo di rito. E invece no: ha puntato a schiena diritta verso l’Assise, confidando in un unico risultato secondo lei possibile: l’assoluzione piena.