Arrestate lo Stato

In una nazione così evidentemente incline al sotterfugio e al reato c’è bisogno anche di un’informazione manettara e moralista, inflessibile in scena e sempre arrabbiata. Un giornale di denuncia, una denuncia giudiziaria. Non ci sarebbe nulla di strano se non fosse che lo spirito del «Fatto quotidiano» rappresenta la punta estrema di un sentimento largamente diffuso poiché politicamente corretto. Si è persa la terza dimensione, quella all’interno della quale la politica diventava grande percorrendo col mento all’insù le terre alte del potere, dell’interesse nazionale, della guerra e dello Stato. Ma politica, potere, interesse nazionale, guerra e Stato sono parole cadute in disgrazia, ormai prive di senso o dall’accezione negativa. Non resta allora che il moralismo giudiziario. L’esibita pretesa di schiacciare la politica sul terreno delle buone maniere, della coerenza assoluta, del codice penale e della rettitudine estrema. Rettitudine sconosciuta alle vite degli uomini, e dunque estranea anche alla quotidianità dei suoi profeti.

Ma non è certo colpa di Marco Travaglio, di Antonio Padellaro o di Peter Gomez se per avere fatto sesso con una donna consenziente l’uomo più influente del mondo quindici anni fa è finito sotto processo del Congresso americano e di un Tribunale – sempre a favore di telecamere, s’intende – e per l’intera durata di quel duplice giudizio la Storia si è fermata e la cronaca abbondantemente sfamata. Dice: il punto è che Bill Clinton mentì alla nazione. E con questo? Davvero qualcuno pensa che un leader politico, il presidente degli Stati Uniti, addirittura, dica o possa dire sempre e solo la verità? Pretenderlo, è un segno di follia. Un’ossessione evidente. Eppure, solo in pochi colsero l’assurdità del «caso Lewinsky».

Lo spirito del «Fatto» è dunque lo spirito del tempo, un tempo la cui letteratura sono i rotocalchi di gossip e i verbali delle procure. Un tempo fatto apposta per sputtanare la politica e svuotare gli Stati. Può anche essere un’idea, ma nessuno, neanche i colleghi del «Fatto», sa indicare alternative possibili. I «tecnici»? Abbiamo già dato. I magistrati? Ne faremmo volentieri a meno. Diciamo che ci sono bastate le avanguardie: i Di Pietro, i De Magistris, gli Ingroia... Se ne esce solo con una retorica politica, e in mancanza d’altro la retorica nazionale va sempre bene: è comunque un appiglio grazie al quale i leader politici possono eventualmente elevarsi. Ma la politica ha bisogno di simboli. Tutti hanno bisogno di simboli, e anche di eroi. La divisa è un simbolo; il soldato in divisa un’annunciazione di eroismo. Non ci vuole molto a capire che da quando sono prigionieri in India «i due marò» hanno cessato di essere due uomini in carne e ossa e sono diventati un unico simbolo, il simbolo della forza e della credibilità dello Stato italiano nel mondo.

Ma per quelli del «Fatto», che in questi termini ieri ne hanno scritto, sono solo due italiani «accusati di omicidio». In galera, dunque, mettiamo direttamente in galera lo Stato.