La foto simbolo della tempesta di New York è di un ravennate

Lo scatto di Michele Palazzo ha fatto il giro del mondo

Michele Palazzo con la sua foto più famosa

Michele Palazzo con la sua foto più famosa

Ravenna, 7 febbraio 2016 - Al telefono, dalla sua casa di Manhattan, Michele Palazzo (@streetfauna su Instagram), 47 anni, ravennate doc, ride e torna a quella mattina del 23 gennaio quando è uscito all’alba per scattare qualche foto di New York travolta dalla bufera. Perché non immaginava che una di quelle immagini avrebbe fatto il giro del mondo (GUARDA), desiderata e cercata da siti web e giornali. Tanto più che lui, di lavoro, non fa neanche il fotografo. A Ravenna torna una volta all’anno e quello che più gli manca sono, oltre ala famiglia, gli amici, quelli ‘storici’.

Michele, com’è andata quella mattina?

«Sono uscito alle 6.30 di casa. Durante il week end mi sveglio ancora prima degli altri giorni, perché ho voglia di fare un sacco di cose e durante la settimana non ho tempo. Volevo scattare un po’ di foto, soprattutto alle persone per strada».

Perché ha scelto proprio il Flatiron Building?

«E’ vicinissimo a dove abito, anche perché con quel tempo non sarei riuscito ad andare molto più in là. La forma di quell’edificio, con la bufera, creava vortici potentissimi. Volevo fotografare le persone, magari con i capelli in aria, sotto la tormenta, ma non c’era nessuno. Ho iniziato a scattare ugualmente, ad un certo punto senza neanche guardare l’obiettivo, con una piccola macchina che porto sempre con me».

Quando si è accorto di aver fatto una foto così bella?

«Dopo. Quella mattina sono andato a fare colazione, poi sono tornato a casa e ho cominciato a guardare il lavoro. Ma neanche allora mi sono reso conto. L’ho vista, certo, mi è piaciuta, così l’ho messa su Instagram. Degli amici mi hanno detto che era molto bella, così l’ho messa anche su un blog di fotografia, e lì è scoppiato tutto».

Cos’è ‘scoppiato’ esattamente?

«Mi ha subito contattato un’importante galleria. Nel frattempo la foto ha cominciato ad avere un successo clamoroso, a girare sul web, finché non è diventata virale. Mi hanno contattato giornali e siti da tutto il mondo, per non parlare degli amici, compresi ovviamente quelli italiani. C’è stato un momento in cui non riuscivo più ad usare il telefono».

Allora cosa ha fatto?

«A tre giorni dallo scatto sono tornato al Flatiron, alla galleria d’arte che si trova proprio sulla punta, la Cheryl McGinnis Gallery. E’ uno spazio tutto vetrate, sembra un’acquario, è un posto bellissimo. E lì è iniziata una storia particolare legata alla mia foto».

Quale storia?

«Il locale è della Sprint, una importantissima compagnia telefonica americana che lo aveva concesso gratuitamente alla galleria. Ora però Sprint vuole indietro lo spazio per farne, credo, una vetrina per cellulari. Con la gallerista avevamo pensato ad una possibile soluzione per salvare la galleria, ma non è andata in porto».

Qual era la soluzione a cui avevate pensato?

«La Sprint mi aveva contattato per chiedere di utilizzare la mia foto, ho rifiutato perché non voglio usarla a scopo commerciale. Però gli ho fatto una controproposta, loro avrebbero dovuto lasciare lo spazio alla galleria e io, usando come veicolo la mia foto, avrei raccontato ai giornali la storia di Sprint e del suo amore per l’arte. Loro ci avrebbero guadagnato dal punto di vista dell’immagine, io anche e la galleria sarebbe rimasta aperta. Ma non hanno accettato».

Da quanti anni vive a New York ?

«Da cinque anni. Sono arrivato nel novembre del 2010, ma non pensavo di rimanerci».

E prima di New York?

«Sono andato via da Ravenna a 18 anni per studiare architettura a Venezia, poi ho vissuto due anni in Spagna e quindi sono tornato in Italia, a Bologna, dove ho aperto con due amici una web agency. Dopo dieci anni ho lasciato, ho fatto per un po’ il consulente di comunicazione finché ho deciso di prendermi un po’ di mesi per studiare l’inglese bene, e sono venuto a New York».

Dove lavora adesso?

«Per un’azienda che si occupa di rappresentazione dati. Ma la fotografia è sempre stata la mia passione e non l’ho mai abbandonata. Mi capita a volte di fare qualche lavoretto legato alla fotografia. Amo molto la street photography, ma non è un genere commerciale. Nonostante la laurea invece non ho mai fatto l’architetto».

E’ stato difficile all’inizio a New York?

«New York è una città particolare, difficile, che ti chiede molto ma è anche capace di darti molto. E’ accogliente, ti senti a casa, non ti senti mai straniero perché sono tutti stranieri».

Però?

«Quando cominci a viverci stabilmente ti imbatti nella burocrazia, i permessi, i costi. Gli affitti ad esempio sono altissimi, ma gli stipendi sono adeguati, anche se puoi essere licenziato da un momento all’altro. Il primo anno è stata dura, il mio inglese non era all’altezza del tipo di lavoro che avrei voluto fare. Poi ce l’ho fatta, sono stato testardo credo, fortunato, bravo. Anche perché sono arrivato qui a 42 anni, ma qui l’età non è importante per il lavoro».

Torniamo all’immagine del Flatiron. Ha qualche progetto?

«Pensavo ad una stampa a edizione limitata».

La sua famiglia come ha reagito a questa improvvisa notorietà?

«Sono orgogliosi, ma lo erano anche prima».

E i suoi amici? I colleghi di lavoro?

«Sono impazziti, mi ha contattato gente che non sentivo da dieci anni. Anche i colleghi, non volevano crederci. Tra poche settimane si sposerà il mio capo, gli regalerò una stampa grande della foto».