L’unica vera moschea spunta tra le fabbriche: "L’ha voluta Allah"

E' a Ravenna ed è finanziata dall'estero VIDEO / VIDEO1

La moschea di Ravenna (Foto Zani)

La moschea di Ravenna (Foto Zani)

Ravenna, 30 marzo 2015 - Il minareto e la cupola spuntano tra le fabbriche delle Bassette (VIDEO), zona artigianale di Ravenna. Venerdì, all’ora della preghiera, centinaia di musulmani oltrepassano la cancellata verde. Marocchini, iracheni, tunisini, senegalesi. Qualcuno ha voglia di parlare qualcun altro s’innervosisce, «perché fai le foto?». C’è chi arriva da fuori provincia. Questa è l’unica vera moschea dell’Emilia Romagna, la seconda d’Italia dopo Roma, dicono. Le altre sono a Segrate, Colle Val d’Elsa, Catania. Stop. E tutto il resto? Associazioni culturali che diventano sale di preghiera e sono chiamate moschee. Ma che regole devono seguire? Alla fine, non si capisce.

Un viaggio nella Romagna musulmana (VIDEO) tiene insieme realtà distanti anni luce. Il minareto delle Bassette – edificio costato 1,3 milioni, finanziati anche dall’estero –; il piccolo centro di Borgo Marina a Rimini, il quartiere straniero; l’appartamentino di Massa Lombarda. Hanno provato a incendiarlo due volte. A febbraio ci sono quasi riusciti. Vandali e basta? Certe scritte contro l’Islam fanno pensare a un clima di esasperazione. Che s’incrocia con altre notizie di cronaca (poliziesca). Il Ravennate terra di reclutamento dell’Isis. Tre storie, arrivate alla ribalta dopo la morte dei protagonisti, in Siria. Tre giovani magrebini. In comune, un passaggio più o meno lungo a Ravenna. Ma Ahmed Basel, iracheno, portavoce della moschea alle Bassette, rifiuta totalmente la ricostruzione: «Tutte invenzioni dei giornali. E poi se qualcuno va fuori di testa, come comunità non possiamo controllarlo. Ravenna è pulita. La moschea esiste da vent’anni e non è mai stata macchiata. Quelle persone con questa città non c’entrano niente».

E cosa risponde a chi dice invece che non c’entrano niente con la città cupola e minareto? «Idea sbagliatissima, Ravenna è bizantina», protesta. Il progetto riuscito qui – «in provincia siamo 20mila, di 16 nazionalità» – è saltato invece a Bologna, dopo lunghe discussioni. «Dobbiamo ringraziare solo Allah – è certo Ahmed –. E la comunità». Magari un po’ anche il sindaco dem Fabrizio Matteucci... «Certo, lui è stato splendido», si entusiasma. Sì, lui è cittadino italiano e lo ha votato. Come Bouassa Caidi, commerciante, arrivato qui 45 anni fa, tra i veterani. Dice che per raccogliere quel che serviva sono andati a bussare anche in Qatar, «loro hanno i soldi». Ahmed aggiunge alla lista Siria, Iraq, Marocco.

Il Marocco dove un giorno pensa di tornare Mohammed Said, 18 anni, lo incontri che s’incammina verso la moschea di Faenza, nella zona industriale, per trovarla devi proprio sapere che esiste. È là in fondo al cortile, dopo il meccanico che non si lamenta: «Convivenza pacifica». L’esterno in legno, ingressi separati per uomini e donne. Dentro, una sala a strati. Per le feste ci si allarga aprendo anche il retro, di solito chiuso da teli di plastica, di quelli con la cerniera. In fondo, un altro spazio, due aule per fare scuola ai bambini. E si preparano a riaprire – con le telecamere – a Massa Lombarda, tutte le stanze sono state annerite dal fumo, chi lavora a pulire e tinteggiare non ha molta voglia di rispondere. Solo un’indicazione: per parlare con i giovani musulmani, bisogna allungarsi fino al bar dei cinesi. Lì nel gruppetto Salem Ghdir, tunisino di 22 anni, artigiano come il babbo, ha una sua idea sulla molotov. «Ragazzi che l’hanno fatto per sfogo. Qui c’è razzismo. Come entri in certi posti ti guardano male. I cinesi no, loro ci accettano».