Ergastolo all'infermiera, il giudice: "Fredda, intelligente e spietata"

Le motivazioni della condanna: "Nemmeno lei sa quanti pazienti uccise"

11 marzo 2016, Daniela Poggiali viene condannata all’ergastolo (Foto Corelli)

11 marzo 2016, Daniela Poggiali viene condannata all’ergastolo (Foto Corelli)

Ravenna, 10 giugno 2016 - Il suo ritratto è questo: «Intelligente, fredda, capace di comprendere le situazioni che si creano». E in quel momento, quando le hanno comunicato il cambio di turno per via dei primi sospetti, «ha compreso di avere superato il limite». Perché non solo «sapeva delle voci» sul suo conto, ma «sapeva di avere già ucciso numerosi pazienti, forse neppure lei ricordava quanti». Così «per la prima volta» non ha ucciso «per delirio di onnipotenza né per liberarsi di una paziente scomoda» ma «per dimostrare a tutti che all’ospedale di Lugo semplicemente morivano i pazienti vecchi e malati».

Uno spavaldo tentativo di sviare i sospetti quello che il giudice Corrado Schiaretti, presidente della corte d’assise, descrive nelle motivazioni dell’ergastolo inflitto alla 44enne ex infermiera Daniela Poggiali per l’omicidio con un’iniezione letale di potassio di una sua paziente, la 78enne Rosa Calderoni, morta l’8 aprile del 2014 a poche ore dal ricovero. Un motivo abbietto, anche se non esattamente quello rilevato dall’accusa. Per il resto, ogni tassello sistemato dai pm Alessandro Mancini e Angela Scorza trova conferma: dalla premeditazione alla minorata difesa passando per i tentativi di depistare i sospetti.

Nel documento, depositato ieri, il giudice sottolinea che «deve ritenersi dimostrata» nei confronti della Poggiali «una impressionante continuità di comportamenti illegittimi» tra il 2013 e il 2014. Che «fosse abitualmente dedita ai furti in corsia», è «insuperabilmente accertato» alla luce delle «testimonianze di diverse colleghe». L’interesse per i furti – spiega lo stesso Schiaretti – è solo incidentale nella questione. Perché l’attenzione delle colleghe sulla Poggiali era partita proprio da quelli: notandola sovente fuori zona, avevano iniziato a collegare i decessi alla sua presenza.

A questo punto va letta tutta d’un fiato la sequenza che porta alla morte della 78enne. A partire dal 2 aprile quando viene trovata una confezione di potassio su un carrello; il 5 la Poggiali, in ragione delle prime statistiche che la proiettano in cima ai decessi notturni, viene informata che «non avrebbe effettuato il successivo turno di notte», quello del 6. Ma che «sarebbe stata in servizio solo la mattina dell’8».

L’infermiera comincia a pensare alla nuova situazione, teme «per la prima volta di essere scoperta». Mancano tre giorni fino al successivo turno di lavoro, e lei «ha pensato di agire, di alzare il livello della sfida e di commettere un omicidio difensivo» che le avesse consentito «di dimostrare che le morti sospette erano solo un caso».

L’imputata, a precisa domanda in aula, aveva liquidato la questione statistica con un laconico «sarò sfortunata». Eppure – continua il giudice – dalle consulenze è emerso «un eccesso di morti stimabile tra i 74 e i 99 pazienti» rispetto al valore naturale. Una differenza «macroscopica che esclude il caso».

Il che significa che «in termini probatori nei due anni esaminati, escludendo ogni ragionevole dubbio, Daniela Poggiali si sia resa responsabile di numerosi omicidi» anche se «i dati statistici non possono individuare chi sia stato vittima delle sue azioni criminali».