Ravenna, il porto della discordia: è scontro sul piano di sviluppo

Confindustria e Autorità muro contro muro. In ballo 220 milioni. Gli industriali: “Tempi troppo lunghi per gli espropri delle aree Dragaggi a rischio“

Una draga davanti al porto di Ravenna

Una draga davanti al porto di Ravenna

Ravenna, 5 marzo 2015 - Tutti lo chiamano il ‘Progettone’. Un nomignolo simbolo di un ambizioso piano di sviluppo del porto di Ravenna con in ballo finanziamenti pubblici per 220 milioni, 60 dei quali stanziati nel 2012 dal Cipe.

Ma più i progetti sono grandi più creano tensioni e divisioni, specie quando non decollano e sul piatto brillano molteplici interessi, e così anche a Ravenna dove sul nuovo hub portuale si sta consumando uno scontro fra due giganti: l’Autorità Portuale, col presidente Galliano Di Marco, manager abruzzese dal carattere fumantino, e Confindustria, col riflessivo quanto determinato presidente Guido Ottolenghi.

Un passo indietro. Il porto di Ravenna per essere ancora competitivo deve approfondire i fondali del canale Candiano, portandoli da 11 a 13.5 metri per consentire l’accesso a navi più grandi, e su questo sono tutti d’accordo.

Per ora si è dragato solo all’ingresso del porto, su ordinanza della Capitaneria, ma si pensa al futuro, a dove mettere i fanghi scavati (4,6 milioni di metri cubi): una parte può essere scaricata in mare a 11 miglia dalla costa in un’area ad hoc, ma gli altri?

Per questi l’Autorità Portuale ha individuato nel Ravennate 224 ettari, non confinanti fra loro, dove spalmarli e ricavare anche una piattaforma logistica. Ma questi terreni appartengono a 43 soggetti privati (cittadini e ditte, tra le quali due big dell’economia come la rossa Cmc, storica cooperativa edile, 56 ettari, e Sapir, terminal a maggioranza pubblica, 38 ettari), però a luglio il problema per Di Marco non esisteva, si espropriavano i proprietari con 45 milioncini pronti allo scopo.

Però a fine gennaio, dopo mesi di trattative, appare chiaro che la cifra è insufficiente: fra i proprietari, fiutata l’importanza della posta in palio c’è chi alza il tiro. E così si parla di un raddoppio della previsione di spesa, il che significherebbe anche ritardare l’avvio dei dragaggi e far slittare in avanti la realizzazione del terminal container.

Il Progettone si complica ed è a questo punto che Confindustria accende la miccia. Il 7 febbraio Ottolenghi, presidente degli industriali, annuncia di essere contrario alla formula dell’esproprio ma anche al connesso progetto della logistica, che prevede la realizazione di capannoni industriali sui terreni con i fanghi. «Serve un intervento sui fondali – dichiara –. Confindustria ha sempre sostenuto un simile obiettivo investendo 200mila euro per il progetto preliminare dell’Autorità Portuale».

Poi l’attacco sui due obiettivi: «L’Autorità portuale accanto a questo progetto ha sviluppato anche un piano di costruzione di una delle più vaste piattaforme logistiche d’Italia, su ben 220 ettari di terreni (sottratti allo sviluppo portuale) non collegati tra loro e in corso di esproprio. Angoscia il disinvolto ed esteso uso dell’esproprio, che ha tempi lunghi, rischia di ritardare i dragaggi e dirige soldi pubblici su attività di magazzinaggio che non sono tipiche del pubblico. La proprietà pubblica di beni economici genera alterazioni nella concorrenza, inefficiente allocazione delle risorse e altre distorsioni». Il senso è: si punti sul porto, non sui capannoni.

Il sasso è lanciato, e il fracasso è notevole. Difatti rimbalza subito la polemica replica di Di Marco: «Nel Progettone l’Autorità Portuale mette gli operatori in condizioni di agire, realizzando le infrastrutture della piattaforma logistica e dopo facendo gare concorrenziale per avere aree attrezzate. Gare, non una situazione monopolistica come quella odierna. Noi non facciamo nè capannoni, nè operazione immobiliare».

Poi la stoccata al presidente di Confindustria: «Se poi Ottolenghi (che è imprenditore portuale, ndr), quando parla di alterazione della concorrenza, si riferisce alla Sapir di cui il suo gruppo è azionista, non posso che essere d’accordo: gli enti pubblici dovrebbero uscire da Sapir e renderla una società che sta sul mercato. O dovrebbero uscire i privati e gli enti pubblici potrebbero conferire le aree all’ente portuale».

Addio diplomazia, lo scontro è totale. Ottolenghi si dimette dal Comitato Portuale mentre Confindustria Romagna si schiera al fianco del suo presidente. Il polverone non produce le dimissioni di Di Marco ma comunque il congelamento del piano triennale che avrebbe dovuto dare il via libero definitivo agli espropri. Prima soddisfazione per Confindustria: «Un simile passaggio consentirà una scelta più consapevole e meditata». Muro contro muro, l’impressione è che la battaglia sarà lunga. E intanto, a tre anni dalla nascita del piano, le draghe sono ancora a bocca asciutta.