Ravenna, 16 febbraio 2014 - ‘Avrò tanti difetti, ma la cattiveria non mi appartiene’, posta sulla sua pagina facebook don Giovanni Desio. Si riferisce, è chiaro, agli sfottò e a quel messaggio incivile al suo indirizzo: ‘era meglio se restavi in carrozzina’. La vicenda è nota. L’incidente lunedì sera, intrappolato con la sua auto nel canale (foto). Salvato da tre eroici parrocchiani di Casal Borsetti. Non dal linciaggio mediatico per quel tasso di alcol sopra il limite trovato nel suo sangue. Don Desio, questa mattina, non dirà messa perché ancora in convalescenza.

«Non voglio nascondermi — precisa —, ma sono a letto da quattro giorni, con una mano dolorante. Lasciare Casal Borsetti? E perché mai? Mi ha telefonato il vescovo, mi ha chiesto dell’incidente e come stavo. Non aveva un tono di rimprovero né vessatorio, abbiamo parlato di tutto, tranne che di un mio trasferimento. E appena sarò guarito tornerò a dire messa ai miei parrocchiani. Non ho ucciso nessuno, ha fatto male solo a me stesso... e a delle cose». È consapevole di aver sbagliato, don Desio. E che il messaggio che ci si aspetta da un uomo di chiesa dovrebbe essere diverso. Per questo si dice «pronto a pagare le conseguenze». Ma al tempo stesso dice di sentirsi umiliato. Come uomo, prima che come religioso.

«È proprio vero — spiega —, la parola ferisce più della spada. Alcuni organi di stampa mi hanno fatto passare per un ubriacone, gettandomi fango addosso, e non lo accetto. Non mi sono mai ubriacato in vita mia, nemmeno quando ho fatto il servizio militare a Pordenone. Lo ripeto. Non ero ubriaco. Avevo bevuto tre bicchieri di vino bianco. I parrocchiani dai quali ero stato ospite a cena ne sono testimoni. Non mi avrebbero mai lasciato salire in auto se mi avessero visto ubriaco. Ho chiesto io di restare in osservazione una notte, ma la sera stessa dell’incidente il medico del pronto soccorso voleva rimandarmi a casa. E un medico non manda a casa un ubriaco. Il mio sangue ha detto un’altra cosa? Accetto e pagherò le conseguenze di una legge severa. Ma io ero lucido».

Poi torna con la mente a quella sera. «Quando mi sono messo alla guida ho rispettato un rosso, uno stop. Poi non ricordo più nulla, se non di essermi trovato a mollo nel canale. È probabile abbia avuto un colpo di sonno. Del resto io soffro di insonnia e quella di lunedì era stata una giornata pesante». Eppure non sono bastati i tanti messaggi di solidarietà e attestati di affetto a cancellargli dalla mente certe parole. «Chi mi ha messo alla gogna, scrivendo solo delle mia auto e dandomi dell’ubriaco, non ha parlato di quello che ho fatto in 13 anni per questa parrocchia, di quanto abbia investito con i ragazzi e le loro famiglie nel doposcuola. Qualcuno si è inventato una petizione per cacciarmi, sono circolate voci assurde, persino che avrei tentato il suicidio. Ma soprattutto, come si può augurare a una persona salvata per miracolo, che ha vissuto un incubo inenarrabile, di restare su una sedia a rotelle? È questo il livello di inciviltà cui siamo arrivati? Siamo a livelli di disumanità tali, che qui non c’entra essere o meno contro la chiesa. Auguro a questa persona, che non conosco, tutto il bene possibile, perché ne ha bisogno. Più di me».

Ma Casal Borsetti, in questi giorni, ha mostrato piuttosto un altro volto. Quello dei tre ragazzi — Andrea Agostini, Marcello Zinzani e Riccardo Giovannelli — che lo hanno tirato fuori da quell’inferno di acqua e lamiere. E dei tanti «che la sera fanno a gara per portarmi la cena a casa, che mi chiedono di quali medicine ho bisogno. Ho sentito Andrea, Marcello e Riccardo, voglio vederli al più presto. Sono queste — dice don Giovanni — le cose che ti rendono felice. L’affetto dei parrocchiani mi ha fatto rinascere. Comunisti o meno, non cambia nulla. E oggi amo ancora di più questo paese, l’ultima parrocchia della diocesi. Qui dicono nel ‘canneto’. Gli improperi? Pazienza, te li butti alle spalle». Solitamente prodigo di comunicati e commenti nelle sue lunghe giornate di lavoro — o tra una telefonata e l’altra alle redazioni —, si registra un insolito silenzio del sindaco Matteucci: neppure due righe di pubblico elogio verso chi ha salvato la vita al sacerdote. Del resto, diceva Gesù, chi è senza peccato scagli la prima pietra.

Lorenzo Priviato