Ravenna, 18 agosto 2013 - Camminare per strada, tra la folla distratta e frettolosa, inciampare nei ciottoli presi dalle mail  in arrivo sullo smartphone e poi alzare lo sguardo e rimanere di stucco. Il tempo si è fermato. Può succedere a Roma, Parigi, Londra o Copenaghen. Un pianoforte bianco e semovente con in cima una ballerina leggiadra e candida che danza (guarda il video). Tutt’intorno una musica che si diffonde dalle dita di un pianista in costume settecentesco, cerone bianco sul viso, occhi vividi e barba nera. Non è un sogno a tutti gli effetti ma del sogno ha le sembianze la performance di teatro di strada che da 16 anni Mauro Grassi porta in giro per il mondo. E tutto è iniziato da un clown francese a cui forse l’artista ravennate deve l’aria malinconica e romantica da pierrot.

 

Il luogo dove tutto inizia, però, è Mirabilandia, tempio del divertimento che di retrò ha ben poco.

“Facevo l’animatore e lì ho conosciuto, nel ’92, il mimo Jean Mening con cui ho iniziato a studiare recitazione e clownerie”.

E poi si è inventato il carillon umano.

“Creare macchine con motori mi è sempre piaciuto, macchine teatrali intendo. Da bambino, in casa mia c’era un portagioie a forma di piano con una minuscola ballerina che danzava quando lo aprivi. Ricordo romantico da cui è nata l’idea. Con l’aiuto del babbo, meccanico in pensione, l’ho realizzata”.

Ed è stato un successo.

“Abbiamo debuttato al Buskers festival di Ferrara nel ’97, l’anno dopo abbiamo vinto il primo premio come performance al Carnevale di Venezia. Un lancio forte a cui sono seguite più di 60 repliche in 17 nazioni”.

Sedici anni di show itineranti. Con la stessa ballerina?

“Io a suonare ce la faccio ancora ma le ballerine invecchiano e di tanto in tanto vanno sostituite. Adesso lavoro con Francesca Pellegrini, una bravissima professionista che ha studiato danza a New York”.

E che si lascia trasportare piroettando sul suo pianoforte viaggiante

“Lei è assicurata con una fascia a un palo e sta sulle punte su una base girevole mentre io suono e ‘guido’ il piano come una specie di pifferaio magico seguito da un corteo curioso dagli occhi sbarrati”.

Il pubblico come reagisce?

“Il mio obiettivo è emozionare la gente. Far ridere o far paura è facile ma è difficile far commuovere. E’ un’emozione più pura e più rara perché la gente fa fatica a lasciarsi andare. Le bambine soprattutto rimangono incantate e subito accennano un passo di danza”.

Più che alla modernità lei si ispira al passato. Perché?

“Cerco di fare cose che non si vedono in tv. E’ difficile stupire un pubblico perennemente bombardato di contenuti di ogni genere, fra internet e tv. Traggo ispirazione dalla magia del passato, da cose semplici che sono state dimenticate”.

Quali musiche accompagnano lo show?

“Allevi, Einaudi, musica new age. Non tanto la classica, come il mio look settecentesco potrebbe far credere”.

La location più bella e il ricordo più toccante

“A Parigi, sotto la Tour Eiffel, non c’è che dire, è la morte sua, dello spettacolo voglio dire. Ma l’emozione più forte l’ho vissuta a Piccadilly Circus quando un clochard che era lì a chiedere l’elemosina si è alzato, ha preso delle monete dal suo bicchiere e le ha date a noi. Mi è salito il magone, sono cose che ti fanno sentire vivo”.

Vita da buskers, meglio in Italia o all’estero? Domanda retorica?

“Non dico niente di nuovo se parlo delle amministrazioni che non hanno soldi e di pagamenti in ritardo. Nel resto del mondo il compenso lo ricevi a fine serata e se ti fanno un bonifico lo trovi a casa appena rientri. E’ anche vero che da noi la cultura dell’arte di strada è arrivata più tardi. Pensi che in Italia nel 92 eravamo una ventina di artisti in tutto”.

Annalisa Uccellini