Ravenna, 2 novembre 2011 - Sera di venerdì 12 agosto, stadio Benelli. C’erano oltre 500 tifosi ad assistere al confronto fra Sergio Aletti e il sindaco Fabrizio Matteucci. Con Aletti ad assicurare tutti: «In due anni andremo in B». E con il sindaco a chiedere a gran voce: «Aletti deve mostrare le carte». Era il tempo degli impegni finalizzati all’iscrizione del Ravenna alla serie D.

Sono passati tre mesi e mezzo e quelle (e tante altre) parole di Aletti (al quale all’epoca i tifosi credevano ciecamente) si sono dimostrate per ciò che erano, ovvero ‘sparate’ e basta. Oggi il Ravenna è al limite della zona retrocessione, la squadra sta perdendo i pezzi, ovvero i giocatori, perché non vengono compensati, la società è bersagliata dalle citazioni legali dei creditori sempre più numerosi, e sempre più inferociti. Non solo non vengono pagati i debiti pregressi, come impone il contratto di compravendita delle quote fra Fabbri e Aletti, ma vengono onorati neppure quelli contratti successivamente.

Un esempio per tutti: il gestore dell’hotel Falcon di Sant’Agata Feltria dove il Ravenna andò in ritiro precampionato, non ha preso un euro dei 35mila richiesti, ed ha avviato azione civile. Come anche Gianni Fabbri, che attraverso l’avvocato Roberto Pellegrino, ha avviato azione civile nei confronti del Ravenna di Aletti per il recupero di 560mila euro così suddivisi: 400mila euro relativi alla fidejussione rilasciata nel 2010 a favore della Lega calcio e che Aletti ha recentemente escusso per pagare alcune mensilità di stipendi e contributi ai calciatori della ex C1; duecentomila euro per rimborso di linee di credito aperte con la Cassa di Risparmio e con la Banca di Romagna, e 50 mila euro per l’iscrizione del Ravenna in D. Si tratta di 560 mila euro cui, per contratto, doveva far fronte diretta Aletti, non Fabbri. In Lega rimangono comunque un milione e 300mila euro a disposizione del Ravenna, ovvero di Aletti. Sempre che gli attuali creditori non avviino azioni di pignoramento presso terzi.

Un mare di debiti, quindi, e, soprattutto, il rischio enorme che a fine stagione il Ravenna, come squadra di calcio, e la società si dissolvano, evaporino. Una situazione cui la società è giunta in appena sei mesi, a partire dal 4 giugno, quando la squadra sul campo riuscì a confermare la permanenza in Prima divisione di LegaPro (l’ex C1) vincendo in maniera rocambolesca con un rigore al 90’ contro l’Alto Adige nel match di ritorno dei play out.

Ripercorriamo le tappe salienti di questi sei mesi di calvario, puntualmente registrate da il Resto del Carlino. Il 2 giugno, ovvero due giorni prima del salvataggio del Ravenna, era scoppiato lo scandalo del calcio-scommesse con l’arresto, fra gli altri del ds Giorgio Buffone, e con Gianni Fabbri indagato a piede libero. Per via di Calciopoli si bloccarono le trattative già avviate da alcune settimane fra Fabbri e Aletti per la cessione delle quote. Trattative riprese verso la fine di giugno e concluse il 30 con la firma del contratto. Tutti i debiti societari venivano accollati all’acquirente che, in più, acquisiva uno storico fabbricato appartenente a uno dei soci del Ravenna, per un controvalore di 450mila euro (che ancora Aletti deve versare). Il 18 luglio il Consiglio federale della Federcalcio ha respinto la richiesta di iscrizione del Ravenna in C1 perché la società (di Aletti) non era in regola con stipendi e contributi dei calciatori. Il 9 agosto la Disciplinare condannò Fabbri, Buffone e altri coinvolti in Calciopoli. Il 19 agosto, in appello, Fabbri venne assolto. Sei giorni prima, il Ravenna era stato iscritto alla serie D. «Dobbiamo rifare tutti i conti, non pagheremo nessuno» dichiarò l’amministratore delegato. La parola è stata in gran parte mantenuta; e, chi ha ricevuto assegni, spesso li ha trovati privi di fondi.