Usura, estorsione e false fatture, otto arresti

L’operazione ‘Don Matteo’ è stata possibile grazie alla Fondazione antiracket di Bologna e all'associazione Papa Giovanni XXIII

I carabinieri hanno eseguito le otto ordinanze di custodia cautelare

I carabinieri hanno eseguito le otto ordinanze di custodia cautelare

Reggio Emilia, 10 febbraio 2016 - Tassi di interesse tra il 180 e il 350% applicati su prestiti ipotizzati di oltre un milione di euro, di cui circa 200mila documentati dall'inizio indagine. Sono questi i contorni dell'operazione Don Matteo che ha portato all'esecuzione di otto misure cautelari eseguite dai carabinieri di Reggio Emilia. In carcere sono finiti Claudio Citro,33 anni, originario di Salerno, e Giuseppe Caso, 37 anni di Torre Annunziata (Napoli), entrambi residenti a Correggio (Reggio Emilia). Arresti domiciliari, invece, per Stefano Bargiacchi, 43 anni, di Carpi, nel Modenese; Andrea Davoli, 28 anni reggiano; Nicola Errichiello, 38 anni, nato a Napoli e residente a Correggio; Alfonso Febbraio, 45 anni, di Napoli ma residente a Reggio Emilia; e Aldo Griffo, 51 anni, di San Cipriano d'Aversa (Caserta). Un salernitano 30enne residente a Correggio è stato sottoposto alla misura cautelare dell'obbligo di firma. Sono tutti accusati di concorso in estorsione aggravata; a Bargiacchi vengono contestate anche le false fatturazioni, mentre a Caso ed Errichiello l'usura in concorso.

L'indagine è nata nel dicembre del 2014 quando un imprenditore taglieggiato dagli arrestati, spinto dalla disperazione, si è presentato allo sportello antiracket creato dalla Fondazione San Matteo Apostolo di Bologna e dall'associazione Papa Giovanni XXIII. I volontari, dopo averlo accolto e aiutato, sono riusciti a convincerlo a denunciare ai carabinieri la sua situazione.

Così sono cominciate le indagini, fatte di intercettazioni e di appostamenti. Alla fine i carabinieri del nucleo investigativo sono riusciti a trovare gli elementi utili per 'incastrare' gli odierni arrestati.

L'imprenditore vittima si era rivolto a queste persone, organizzate in due gruppi, per riuscire a ottenere denaro che non gli veniva più concesso dalle banche. In questo modo si è trovato in un vortice che lo ha inghiottito sempre di più, trovandosi a pagare solo gli interessi dei prestiti.

Dalle indagini sono emersi anche contatti di alcuni delle persone coinvolte con personaggi legati al clan camorristico Cava egemone a Quindici (Avellino) e con un esponente di primo piano del clan Grande Aracri, attualmente arrestato in regime di 41 bis. Questi elementi, tuttavia, pure utili a livello informativo, non sono entrati direttamente nelle indagini.