Scandiano, calciatore accoltellato. Il papà: "Quasi ucciso, perché quei due sono liberi?"

Il padre di Aldi, bomber dell’Arcertana: "Cambiate le leggi"

Aldi Shpijati e il sangue sul selciato

Aldi Shpijati e il sangue sul selciato

Reggio Emilia, 6 febbraio 2018 - «Le coltellate fanno male allo stesso modo a stranieri e italiani. Siamo tutti uguali, figli di Dio. E allora faccio un appello alla legge, con tutto il rispetto che ho di questo Paese: perché chi ha quasi ammazzato mio figlio è ancora libero?»

Tonino Shpijati, 54 anni, mostra la foto di Aldi. Un selfie in cui il ragazzo sorride, nel suo letto di ospedale. «Ora sta meglio, ma ancora fatica a parlare. Mi creda, ieri è stato il giorno più brutto della mia vita; quando mi hanno detto che non sapevano se ce l’avrebbe fatta... »

Non trattiene le lacrime quel padre frastornato, operaio in fonderia, arrivato sullo Stivale da una decina d’anni. Lo farà a più riprese, inframezzando la commozione con la gioia. Suo figlio di 22 anni. bomber dell’Arcetana di origini albanesi, è ancora in Rianimazione e prognosi riservata, dopo essere stato brutalmente aggredito alle 4,30 della notte fra sabato e domenica vicino alla stazione di Scandiano: tre fendenti, con la lama che raggiunge prima un polmone, poi lo stomaco e il basso ventre. Per questa ragione, due reggiani residenti a Viano, di 30 e 36 anni, sono stati denunciati in stato di libertà dai carabinieri (erano passate troppe ore perché potesse scattare l’arresto in flagranza di reato). Le indagini dei militari e le numerose testimonianze raccolte dei presenti hanno portato alla loro identificazione. Uno era già in caserma quando l’altro si è presentato, dicendo di sapere di essere ricercato. Ha negato però di essere lui l’autore delle lesioni.

Nel frattempo i carabinieri hanno anche recuperato il coltello dell’aggressione e ora su quell’arma si stanno svolgendo le analisi. Il sostituto procuratore Giulia Stignani sta analizzando le informative per capire se iscrivere i due sul registro degli indagati per lesioni gravissime o tentato omicidio; e anche per valutare se possano scattare misure cautelari nei loro confronti.

«La legge deve migliorare – incalza il padre –. Con tutto il massacro che hanno fatto su mio figlio sono ancora fuori... È pazzesco». Ma ciò che è ancora più assurdo è il movente di questa violenza. «Credo ci sia di mezzo della droga – ammette il 54enne –. Ma mio figlio non lo sapeva... Si è messo in mezzo per difendere un amico. Se avesse saputo chi erano quei due e che erano alterati sarebbe stato più attento».

La ricostruzione è arrivata grazie al racconto degli amici di Aldi, che erano assieme a lui. «Mi hanno raccontato che quei due facevano casino, hanno iniziato a prendere in giro e offendere un amico di mio figlio. E a quel punto lui ha chiesto loro di smettere». Ma così non è accaduto. «Hanno alzato la voce. Poi dalle parole si è passati alle mani, da quello che ho capito hanno iniziato loro. Ma anche mio figlio ha reagito, li ha colpiti anche forte... Il problema è che uno dei due a quel punto ha tirato fuori il coltello e lo ha massacrato».

Sorride. Guarda la moglie che non smette di tremare in quell’atrio di ospedale, circondata da un capannello di amici del giovane. «Forza, non mollare», gli gridano attraverso i messaggi vocali. Tutti lì per lui. A fare il tifo per quel «bravo ragazzo», che ha studiato all’Enaip per poi finire a lavorare una pizzeria e mettere tutta la sua passione sul campo dell’Arcetana. «Questi criminali devono essere arrestati il più presto possibile», ribadisce di nuovo il padre: «Mi creda, è un bene per tutti gli italiani. Spero che questo caso non sia sottovalutato solo perché noi siamo stranieri. È un pericolo per tutti».