Processo Aemilia, 300 anni di condanne. Pagliani assolto con formula piena

Per Sarcone la pena più alta: quindici anni. Oltre nove anni a Gibertini

L'entrata all'aula del processo Aemilia

L'entrata all'aula del processo Aemilia

Reggio Emilia, 23 aprile 2016 - Da una parte le condanne, pesanti, per i vertici della cosca. Dall’altra, l’assoluzione piena di Giuseppe Pagliani, avvocato e consigliere di Forza Italia accusato di concorso esterno in associazione mafiosa; assolto per non aver commesso il fatto, con una richiesta di pena di 12 anni e 23 giorni passati in carcere dopo il blitz del 28 gennaio 2015. Sono questi i due rovesci della medaglia della prima sentenza del processo Aemilia, arrivata al termine delle udienze preliminari per i 71 che avevano chiesto il rito abbreviato (17 i patteggimenti, due sono stati rifiutati).

Sette ore di camera di consiglio per una decisione che farà la storia della nostra terra. La lettura del dispositivo è arrivata nel tardo pomeriggio di ieri, in un’aula a porte chiuse della corte d’appello di Bologna.

Le condanne ammontano a oltre 300 anni in totale (con l’abbreviato si ottiene un terzo di sconto della pena), per il terremoto giudiziario che il 28 gennaio 2015 portò all’arresto di 117 persone tra politici, giornalisti e imprenditori reggiani, accusati a vario titolo di aver avuto contatti o di aver preso parte alla cosca ’ndranghetistica che faceva riferimento al boss di Cutro Nicolino Grande Aracri.

Condanne pesanti per i presunti vertici dell’associazione, ma anche ridimensionate in modo più o meno lieve per tutti i principali imputati. Tredici assoluzioni e un proscioglimento. Ed è questo, probabilmente, il dato che pesa di più. Soprattutto perché a non essere stati condannati sono i due politici finiti alla sbarra: Giuseppe Pagliani, avvocato e consigliere comunale di Forza Italia e Giovanni Paolo Bernini, ex assessore di Parma, prosciolto per prescrizione del reato. È così caduto anche il castello di carte dell’impianto accusatorio, almeno nella parte che voleva la mafia calabrese andare a braccetto con alcuni esponenti politici in Emilia.

Tra gli assolti ‘eccellenti’ anche Michele Colacino, imprenditore e autotrasportatore accusato di essere il tramite fra la cosca e poliziotti e carabinieri (la procura aveva chiesto 12 anni). Lo stesso dell’intercettazione-choc: «Fino a quando è stato così la mia cooperativa ha sempre pilotato le gare e non ci sono stati mai problemi». Assolto. Così come il consulente aziendale Alessandro Palermo (chiesti per lui 9 anni). Assolti pure Selvino Floro Vito, Francesco Lepera, Fulvio Stefanelli, Giovanni Summo.

La pena più pesante è arrivata per Nicolino Sarcone, presunto ‘capo’ del clan reggiano: 15 anni, contro i 20 chiesti dai pm; per Alfonso Diletto, accusato di essere il promotore della cosca, 14 anni e due mesi (sempre partendo da una richiesta di 20); 14 anni, invece, per l’imprenditore dei trasporti Antonio Silipo, mentre Antonio Gualtieri, figura chiave della presunta associazione, è stato condannato a 12 anni.

Condanne pesanti anche per il poliziotto, ed ex autista del questore di Reggio, Domenico Mesiano, condannato a otto anni e sei mesi anche per le minacce alla giornalista del Carlino Sabrina Pignedoli, e per l’altro poliziotto Antonio Cianflone, a cui il gup ha dato otto anni e sei mesi.

Condannata anche la commercialista bolognese Roberta Tattini (otto anni e otto mesi) e il giornalista reggiano Marco Gibertini (nove anni e quattro mesi). Pena quasi dimezzata, invece, rispetto alle richieste per il boss Nicolino Grande Aracri, che in questo processo non era imputato di associazione mafiosa: per lui sei anni e otto mesi (12 chiesti dall’accusa). Due anni e quattro mesi, poi, per l’ex responsabile dei lavori pubblici del Comune di Finale Emilia, in provincia di Modena, Giulio Gerrini. Condannati anche gli imprenditori reggiani Giovanni Vecchi (4 anni e 10 mesi) e Patrizia Patricelli (4 anni e 10 mesi).

Definiti anche alcuni risarcimenti per le parti civili: la Regione Emilia-Romagna si è vista riconoscere una provvisionale di 600mila euro (i costi sostenuti dall’amministrazione di viale Aldo Moro per far svolgere il processo in Emilia-Romagna ammontano a oltre un milione), 150mila euro per il Comune di Reggio Emilia e per il Comune di Bibbiano e 100mila per la Provincia reggiana. Per le Camere del lavoro di Modena e Reggio la cifra è di 10mila euro l’una, e 15mila vanno alla Cgil regionale.