Reggio Emilia, bimba stuprata per anni dallo zio disabile

L’accusa: "La piccola veniva legata al letto con delle corde. La madre sapeva tutto"

Violenza su minori

Violenza su minori

Reggio Emilia, 7 febbraio 2018 - Aveva sei anni Anna quando la sua infanzia è finita dentro quei giochi sporchi cui la costringeva lo zio. Sei anni e l’ingenuità di andare poi a confidare tutto alla sua maestra: il fastidio, l’imbarazzo, il dolore. Parole semplici per descrivere un castello di violenze consumato dentro le mura domestiche, con più di un familiare che – stando alle ricostruzioni – sapeva e non parlava.

Ci sono processi difficili da raccontare. Quello che si sta celebrando al tribunale di Reggio, ancora in udienza preliminare, è uno di questi. C’è uno zio di 57 anni, gravemente disabile, imputato per violenza sessuale aggravata su una minore di 10 anni. E la madre della piccola (sorella di lui) alla sbarra in un altro procedimento parallelo in rito ordinario per omesso controllo, perché sapeva tutto e non è intervenuta. Peggio. In diverse occasioni la donna sarebbe entrata in quella cameretta dell’orrore per slegare la bambina dal letto, dopo che aveva subito stupri e umiliazioni di ogni genere, per poi chiedere al fratello la promessa di non farlo più.

Tutto inizia nel 2010, quando Anna (la chiameremo così per proteggere la sua riservatezza) frequenta la prima elementare, in un paesino della Val d’Enza. Ma di anni ne passano tre, prima che lei inizi a confidare tutto, candidamente, alla sua maestra. «Lo zio mi segue in bagno... » Poi, dettagliati con le parole più semplici che si possano immaginare, i racconti di quei pomeriggi. «La prima volta avevo sei anni... L’ho detto alla mamma e alla nonna quello che faceva», dirà la piccola durante l’incidente probatorio avvenuto nel 2015. E ha raccontato i rapporti sessuali avuti con lo zio.

Viene aperta un’inchiesta in procura. Nell’immediatezza delle indagini l’uomo – invalido per oltre l’80% – viene arrestato, per poi essere trasferito in una struttura sociale di Rimini a fine 2014. E lì vive, ancora, a spese dei servizi sociali della Val d’Enza. Nel frattempo, l’uomo ha parzialmente ammesso i fatti durante gli interrogatori. Le visite mediche sulla bambina avrebbero confermato le accuse: «Lesioni dovute ad abusi sessuali ripetuti».

Passano i mesi. E il procedimento si inceppa più volte. Spunta la prima perizia sull’imputato: «L’uomo non è in grado di poter partecipare a un processo», dice il primo tecnico. Trascorsi sei mesi, però, bisogna ripetere l’esame. E il secondo consulente è di parere opposto: «L’imputato è capace di assistere».

Si ricomincia, dunque. Fino ad arrivare a ieri, con l’ennesima udienza preliminare davanti al giudice Luca Ramponi e al sostituto procuratore Valentina Salvi. Il disabile – difeso dall’avvocato Gianluca Tencati del foro di Rimini – era presente in aula. Per conto della piccola, il legale Marco Scarpati, che si è costituito parte civile per i servizi sociali della Val d’Enza.

«La piccola è molto traumatizzata e i tre psicologi che l’hanno visitata hanno trovato uno choc post-traumatico mastodontico, tanto che si è ridotta la sua capacità cognitiva», spiega l’avvocato Scarpati. «È una delle storie più brutte che io abbia affrontato nella mia carriera».

La difesa ora ha avanzato la richiesta che venga effettuata una ulteriore perizia psichiatrica per capire se l’uomo fosse in grado di intendere e di volere al momento dei fatti (le contestazioni vanno dal 2010 al 2013). La parte civile ha dato parere negativo a questa perizia, ma non si è opposta. Per il momento è stata avanzata una richiesta di 150mila euro di provvisionale oltre alle spese processuali.

La piccola Anna ora vive molto lontano dalla nostra provincia, perché non possa essere raggiunta dai suoi familiari. Per la madre, invece, il processo comincerà ad aprile. Dovrà rispondere dell’accusa di non aver impedito quegli stupri. Perché, secondo il pm, lei sapeva tutto. Al punto di essere entrata «in più occasioni durante la consumazione dei rapporti sessuali nella stanza del fratello, anche per slegare la bambina dalle corde con cui veniva legata dallo zio», si legge nel capo di imputazione. Poi, rivolgendosi a lui, gli diceva: «Giurami che non lo fai più».