Caccia ai rapitori con le analisi del Dna, si riapre il caso Dall’Orto / FOTO

Svolta dopo 29 anni, le verifiche sugli oggetti lasciati al momento della liberazione. Confronto con i profili genetici di 16 indagati, tra cui l’appena liberato Matteo Boe

Silvana Dall’Orto insieme al marito Giuseppe Zannoni in un’immagine scattata nei giorni successivi alla liberazione

Silvana Dall’Orto insieme al marito Giuseppe Zannoni in un’immagine scattata nei giorni successivi alla liberazione

Reggio Emilia, 27 giugno 2017 - Finalmente accontentata, la Dall’Orto, ed è un cold case che si riapre dopo 29 anni: si fanno le analisi sugli indumenti dei banditi, e poi, se possibile, si confronteranno le tracce coi profili genetici di sedici indagati, tra cui l’appena liberato Matteo Boe, l’ex re dei banditi sardi.

Silvana Dall’Orto, adesso, ha validi motivi di sperare che siano scoperti i rapitori dell’Anonima che la tennero in ostaggio 196 giorni tra autunno 1988 e primavera 1999. E’ stata una battaglia tenace, compiuta dalla Dall’Orto in sintonia col marito, l’industriale Giuseppe Zannoni; assistiti da quel grande avvocato che fu Romano Corsi, che di Zannoni era stato compagno di scuola ai salesiani di Parma e che della moglie dell’imprenditore ceramico aveva ottenuto l’assoluzione piena nel celebre processo in cui la donna era stata ingiustamente imputata di combutta coi banditi per tentare un’estorsione al cognato.

E’ di queste settimane la prima clamorosa svolta: la procura antimafia di Bologna, competente per i sequestri di persona, ha indagato sedici individui, tutti sardi salvo un piacentino. Tra loro ci sono anche tre donne.

Fra i sedici indagati c'è anche Matteo Boe, responsabile del sequestro di Farouk Kassam

Sotto inchiesta è finito anche Matteo Nicolò Boe, 59 anni, appena tornato nella sua Lula (Nuoro) dopo 25 anni di galera, scontati per alcuni sequestri tra cui quello del piccolo Farouk Kassam rapito a Porto Cervo, a cui venne tagliato il lobo di un orecchio. Boe, uscito l’altra mattina dal carcere di Opera, è passato alla storia anche per l’evasione dal penitenziario dell’Asinara, il solo a esserci riuscito.

Nove anni fa, Silvana Dall’Orto e Giuseppe Zannoni - oggi 73 anni lei e 79 lui - lanciarono un appello. Gli enormi passi avanti della scienza nell’analisi del Dna li spinse a ricordare pubblicamente che nell’ufficio corpi di reato c’erano diversi oggetti con cui Silvana era stata liberata dai rapitori sul ciglio dell’autostrada della Cisa, la notte del primo maggio 1989: una tuta mimetica, una coperta, un paio di scarpe, e soprattutto una canottiera che un sequestratore si tolse e allungò alla donna tremante dal freddo.

Che fine aveva fatto tutto quel materiale? Perché non affidarlo al Ris, per isolare tracce di Dna? pareva che non si trovasse più, e invece, grazie alla mobilitazione del procuratore capo Giorgio Grandinetti, venne individuato sugli scaffali e inviato alla Dda di Bologna per l’apertura di una nuova inchiesta. Fino a questo momento, infatti, gli autori del sequestro sono rimasti ignoti.

Scomparso l’avvocato Corsi lo scorso ottobre, l’impegno di assistere i coniugi Zannoni è stato proseguito dalla figlia Francesca, che nel supporto scientifico alle nuove indagini ha individuato in consulente genetico Emiliano Giardina, già consulente d’accusa (con successo) nel processo contro Massimo Bossetti per l’omicidio di Yara Gambirasio.

Silvana Dall’Orto, ha appreso con emozione la notizia della riapertura dell’inchiesta: sono fatti che la riportano con la memoria a quei mesi drammatici ed è comprensibile. Ma è fiduciosa che si arrivi a una soluzione del suo «cold case».