Morte Chiarabini, un altro medico denuncia omissioni

Dopo l’anestesista di Varese, anche un dermatologo di Napoli presente a Formentera nel ristorante in cui è morto il 27enne denuncia: "Il defibrillatore non è stato usato"

Luca Chiarabini aveva 27 anni

Luca Chiarabini aveva 27 anni

Casina (Reggio Emilia), 17 agosto 2017 – Un altro medico sostiene che i soccorsi prestati a Luca Chiarabini, il 27 originario del Bocco di Casina stroncato da un malore la sera di lunedì 7 agosto in un ristorante di Formentera, siano stati insufficienti. Dopo Emanuele Alzati, medico anestesista di Varese, con diciott’anni di servizio nelle ambulanze, che aveva denunciato gravi inadempienze di cui dice di essere stato testimone e a cui la famiglia ha detto di non credere – questa volta a contattare il Carlino è un dermatologo di Pompei, Gianluca Petrillo, consulente per il Policlinico di Napoli e dottore con un proprio studio. «Vorrei confermare ciò che ha detto il collega Alzati: non è stata fatta alcuna procedura per tentare di salvarlo», denuncia, rendendosi disponibile a parlare con la famiglia.

Il racconto del 41enne Petrillo conferma quello del medico di Varese: «Ero nel ristorante, sono stato il secondo ad avvicinarmi quando quel povero ragazzo si è sentito male. Prima di me si è mosso un giovane spagnolo che ha cominciato a praticargli il massaggio cardiaco. A un certo punto il ragazzo ha cominciato a rimettere e io l’ho fatto adagiare su un lato, controllando alcuni parametri. Ho anche chiesto alla sua fidanzata (Elisa Castellari, che era a tavola con lui, ndr) se lui avesse bevuto qualche alcolico. Lei mi ha risposto: ‘Un mojito’».

Dopo cinque-dieci minuti, secondo la testimonianza del dermatologo, arrivano i soccorritori: «Una giovane che era alla guida dell’ambulanza gli ha praticato il massaggio cardiaco. Poi altri operatori lo hanno intubato e hanno praticato una ventilazione artificiale. Il medico ha iniziato a sentire il battito cardiaco, una pratica inutile. Un infermiere ha preso la vena, poi un altro soccorritore ha posizionato il defibrillatore, che non è stato usato. C’era anche l’adrenalina disponibile e preparata, ma pure questa non è stata utilizzata. Io e Alzati abbiamo cercato di offrire il nostro aiuto, ma la polizia ci ha respinti. Poi, dopo una decina di minuti di soccorso a terra, il ragazzo è stato caricato in ambulanza e non ho più visto nulla. Ma con riesco a capire perché non si sia fatto ricorso al defibrillatore e all’adrenalina, nonostante fossero a disposizione. Non sono specializzato in anestesia come Alzati, ma come medico dico che l’Abc del primo intervento di soccorso non è stato rispettato».

Il 41enne dice di aver rivisto il giorno dopo un agente di polizia intervenuto la sera prima nel locale: «Gli ho chiesto come stesse il ragazzo, e lui mi ha detto che era morto. Ora mi chiedo se si potesse salvargli la vita. Certamente si sarebbe potuto fare qualcosa di più per provarci».

Alzati aveva inviato lettere di denuncia a un giornale locale di Formentera, al direttore del servizio emergenza 061, al presidente del consiglio dell’isola, «senza avere risposta».

All’anestesista di Varese il fratello del giovane morto, Fabio, aveva detto di non credere. «Non è vero che mio fratello non è stato adeguatamente soccorso. Me lo ha confermato un suo amico, un reggiano che era nel ristorante, che ha seguito tutte le operazioni del personale sanitario. Abbiamo il certificato medico – aveva affermato Fabio Chiarabini – nel quale è scritto che a Luca sono state somministrate per due volte adrenalina e atropina, in quantità abbondanti. Assurdo anche che volesse intervenire lui, quando le manovre di soccorso e il massaggio cardiaco erano già stati avviati da altri».

Chiarabini si sente rassicurato dal racconto del testimone reggiano, che ha confermato le operazioni di soccorso a cui ha assistito anche la fidanzata di Luca. Nonostante una seconda testimonianza, potenzialmente ‘autorevole’ come quella di un altro medico che conferma il racconto dell’anestesista, la famiglia non intende comunque considerare e approfondire l’ipotesi di possibili inadempienze: «Per noi il caso è chiuso. Ci fidiamo della testimonianza dell’amico reggiano. Non crediamo vi siano stati retroscena particolari o inadempienze».