Reggio Emilia, patto tra donne difende la dignità dell’ammalata

La cura e il fine vita: badante, avvocatessa e giudice alleate per Paola che ha la Sla

La badante Susanna Cismas, appeso alla parete un ritratto di Paola

La badante Susanna Cismas, appeso alla parete un ritratto di Paola

Reggio Emilia, 9 febbraio 2018 - «Le donne sono sempre più forti, gli uomini non ci sarebbero riusciti» e un mezzo sorriso compare sul viso di Susanna Cismas, 55 anni, rumena della Transilvania. E’ seduta in sala da pranzo. Dalla camera accanto arriva improvvisa la segnalazione acustica. Susanna si alza di scatto, deve correre: «La macchina ogni tanto fa degli scherzi». Va a controllare, torna, tutto a posto. Di là, in questo lindo appartamento di edilizia popolare di Sesso, è costretta a letto da dieci anni Paola, stessa età di Susanna. Paola ha la Sla: non muove le braccia nè le gambe. Solo gli occhi, che apre e chiude senza vedere. Nessuno sa se Paola sente suoni e voci. Di certo deve sentire la presenza di Susanna che la assiste da dieci anni. Nel Natale 2007, quando ancora poteva parlare - era già sulla sedia a rotelle - Paola fece una sorpresa alla nuova badante. Erano cinquecento euro. Susanna non li voleva. «Te li regalo - le disse disperata, e si stava separando - Tu però non mi abbandoni per tutta la vita». Susanna ha promesso e mantenuto. C’è sempre lei, qui, nell’appartamento di Sesso, grazie a un patto di alleanza tra donne.

La prima è Paola. A Napoli, dove nacque nei Quartieri Spagnoli, riuscì a trovare la sua strada. China sui libri giorno e notte, prese la laurea in Economia e Commercio. Salì al nord, la Coopnordemilia comprese il suo valore e la assunse. Impiegata amministrativa. Paola si sposò, ottenne l’appartamento di Sesso in affitto dalla cooperativa. Non arrivarono bambini. A partire dalla fine dei Novanta la sfortuna si accanì su di lei. A un pranzo di nozze la caduta sul pavimento. La diagnosi: Sla. Da allora, il peggioramento è stato progressivo, fino all’immobilità. «Eppure - dice Susanna - Paola ha una pelle bellissima, liscia e chiara come quella di un bambino, mai una piaga da decubito». E’ alimentata con la Peg, la nutrizione enterale, e ha l’aspiratore polmonare. C’è la minaccia di infezioni, la vita scorre come su una corda da equilibrista.

La seconda donna è lei, Susanna. Separata a sua volta, ha due figli sposati, uno cameriere in un ristorante di Bressanone, l’altro rimasto in Transilvania ad allevare pecore. In Romania Susanna era operaia in una fabbrica di scarpe, il marito faceva il vigile del fuoco: «Ma guadagnava pochissimo. Gli dissi: tenta all’estero. Andò in Serbia ma tornò indietro dopo due settimane. Allora decisi: all’estero ci vado io». A Parma, la cognata le segnalò che Paola, ricoverata al Maggiore per la rottura di un femore, cercava una badante. Era il 2007. Susanna accettò. Ora racconta le sue fatiche quotidiane: «L’insulina quattro volte al giorno, attaccare tre volte la macchina, poi le cannucce sterili che tirano via il catarro, sono il suo salvavita dice il medico sempre attento. E poi dare l’acqua, girare, cambiare, lavare, pulire». Intanto Susanna ha preso il diploma di Oss. «Mi hanno cercata da una struttura ma ho risposto di no, finchè c’è Paola resto con lei». Niente diversivi, se sta via qualche ora chiede aiuto a una vicina.

Ma in questa storia ci sono altre due donne coraggiose, un’avvocatessa e un giudice. Il legale è Ernestina Morstofolini, 58 anni, povigliese, presidente della commissione pari opportunità nell’ordine degli avvocati e presidente dell’associazione giuristi cattolici. Venne nominata amministratore di sostegno di Paola nel 2008, e con la preziosa collaborazione dell’Ausl e del Comune ha gestito con prudenza l’economia domestica di Paola nell’eseguità delle risorse. Anche grazie al suo impegno, poi, nel 2012 la giovanissima giudice Chiara Zompì effettuò un’indagine sulle volontà di Paola riguardo al fine vita. «Venne qui a vederla - ricorda la badante - Con lei c’era un cancelliere. Le chiese se voleva andare all’ospedale. Paola rispose di no, poi non parlò più». Il giudice interrogò le amiche, ricostruì il passato della donna, venne a sapere che, sulla bara del padre, si era detta contraria alla ventilazione forzata. Su questi presupposti - di fatto una dichiarazione anticipata di trattamento, una sentenza anticipatrice della recente legge - la dottoressa Zompì autorizzò l’avvocatessa Morstofolini a fare in modo che, quando dovesse giungere il momento, il desiderio di Paola venga esaudito. Solo cure palliative, niente intubazione. Ma non è finita qui. L’avvocatessa Morstofolini si è preoccupata del futuro di Susanna, il «dopo». E così, l’anno scorso, nell’affitto della casa di Sesso, la badante è subentrata a Paola. Paga lei l’affitto con lo stipendio frutto dei sussidi e dalla pensione di Paola che l’avvocatessa le consegna ogni fine mese. E in quella casa potrà restare a vivere. Un circolo virtuoso, costruito da donne speciali.