Sos 'ndrangheta, il pentito 'incastra' Sarcone

Angelo Salvatore Cortese parla in aula di Nicolino: "Fu mandato qui per fare il boss"

A destra, Nicolino Grande Aracri, boss di Cutro

A destra, Nicolino Grande Aracri, boss di Cutro

Reggio Emilia, 19 febbraio 2015 - «Nicolino Sarcone è stato messo a Reggio dal boss Grande Aracri per curare gli affari della cosca». Ad affermarlo ieri nell’aula del tribunale di Reggio, il pentito Angelo Salvatore Cortese. Nascosto dietro a un paravento, Cortese ha raccontato in modo particolareggiato il ruolo di Nicolino Sarcone all’interno della cosca Grande Aracri. Ha parlato per ore, ribadendo quello che era già emerso in altri procedimenti, come l’operazione Pandora della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro e, da ultimo, dall’ordinanza dell’indagine Aemilia, che ha portato all’arresto di 117 persone, facendo emergere come Reggio sia l’epicentro del clan al nord e Nicolino Sarcone sia il ‘luogotenente’.

Accuse che dovranno essere dimostrate in altra sede, visto che ieri si è parlato solo della misura del sequestro preventivo d’urgenza, scattato ben prima dell’operazione Aemilia, a metà settembre scorso. La misura patrimoniale, proposta dalla Dia di Firenze ed eseguita dai carabinieri reggiani, ha portato a bloccare beni per oltre 5 milioni di euro, tra aziende, immobili, conti correnti, veicoli riconducibili a Nicolino Sarcone e ai fratelli Gianluigi, Carmine e Giuseppe Sarcone Grande.

Secondo gli accertamenti eseguiti dalla Dia, ci sarebbe una sproporzione tra i beni posseduti e i redditi dichiarati. Secondo l’accusa, sostenuta dal sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Bologna, Marco Mescolini (che ha coordinato anche l’indagine Aemilia, insieme a collega della Dna Roberto Pennisi), quei beni ‘in più’ sarebbero di provenienza illecita, derivati dalla presunta appartenenza di Nicolino Sarcone al clan Grande Aracri.A questa tesi si oppongono i difensori Luigi Colacino, Giuseppe Migale Ranieri, Monica Varricchio, Stella Pancari e Stefano Vezzadini. 

Per dimostrare la sua tesi, l’accusa ha chiesto che venissero sentiti in aula due pentiti: Cortese, che ha spiegato il ruolo di Sarcone, e Giuseppe Vrenna, che invece non ha fornito elementi particolarmente utili.  In aula erano presenti Carmine e Giuseppe Sarcone Grande, oltre a Gianluigi che si trova ora in carcere a seguito dell’arresto nell’operazione Aemilia. Assente, invece, Nicolino Sarcone, pure lui arrestato nella stessa indagine. La prossima udienza fissata per il primo aprile.