Trasfusione infetta, vince la causa. Ma il ministero non lo paga

Per uno scandianese che ha fatto causa tramite la legale Paola Soragni, anche la beffa: deve anticipare i soldi della sentenza

Il ragazzo è stato portato all'ospedale Niguarda

Il ragazzo è stato portato all'ospedale Niguarda

Reggio Emilia, 20 ottobre 2016 – Vince a 26 anni dai fatti la causa con il Ministero della Salute per una trasfusione di sangue infetto; lo Stato deve corrispondergli quanto dovuto (32mila euro) e viene condannato a pagare anche le spese di lite; il denaro però non viene mai versato dallo Stato al cittadino; e quattro anni dopo - sorpresa finale dello scorso 26 maggio - al cittadino l’Agenzia delle Entrate, cioè lo stesso Stato, notifica una cartella esattoriale che gli impone di pagare lui le spese di registrazione della sentenza che condannava il ministero: 1.162 euro. Inutile opporsi, la legge è chiara. Al cittadino infatti è data la possibilità di rivalersi sullo Stato per riavere indietro i soldi anticipati. Peccato però che lo Stato non abbia neppure aperto i cordoni della borsa per i danni provocati alla salute del contribuente trent’anni fa. E a questo punto vien fatto di osservare che mai termine fu più azzeccato per identificare la vittima di questa bruttissima storia, un imprenditore scandianese di settant’anni: «contribuente» in tutti i sensi, come giustamente, con involontaria ironia, precisa nelle controdeduzioni al ricorso del danneggiato l’Agenzia delle Entrate.

Pensare che tutto cominciò con una coincidenza sfortunata. Lo scandianese nell’inverno del 1986 si era rivolto all’ospedale Niguarda di Milano - uno dei pochissimi specializzati, allora, in questo genere di interventi - per un’operazione a cuore aperto. Il paziente si prenotò e nel giorno dell’appuntamento preso per andare sotto i ferri venne indetto uno sciopero. Così l’intervento a una valvola cardiaca, che non rientrava nelle urgenze da garantire nell’immediato, slittò. Se si fosse seguito l’iter ordinario, il sangue necessario per la trasfusione sarebbe stato prelevato in anticipo allo stesso imprenditore. Ma il calendario venne rivoluzionato e per accelerare i tempi la trasfusione fu effettuata con sangue di altri donatori: infetto, come accadde per tanti in quegli anni. L’operazione al cuore riuscì ma il paziente si ritrovò ad avere nel sangue il virus dell’epatite C.

La vittima, assistita dall’avvocatessa Paola Soragni, fece causa. Ci vollero sette anni per ottenere ragione dal tribunale di Milano. La sentenza passò in giudicato. Ma il risarcimento stabilito dal giudice Giovanna Gentile - che assolse l’ospedale Niguarda e la Regione Lombardia e condannò il ministero - non è mai arrivato a destinazione. In maggio il cittadino si è invece visto recapitare la cartella di pagamento per le spese di registrazione della sentenza. L’imprenditore ha opposto un’istanza di mediazione all’Agenzia delle Entrate, che l’ha rifiutata. Non gli è rimasto che fare causa. Ma l’Agenzia delle Entrate ha replicato che mancano «specifici motivi di impugnazione» e che l’impugnazione è «tardiva». Dunque, chiede alla commissione tributaria di Milano il rigetto. Che sarà inevitabile. E quei 1.162 euro andranno pagati fino all’ultimo centesimo. In attesa poi di riottenerli dal ministero con un giudizio di ottemperanza, insieme ai ben più corposi 32mila euro dei danni provocati dalla trasfusione infetta.

A questo punto però si prospetta una strada alternativa. Spiegata dall’avvocatessa Soragni. Il legale, che è anche consigliere comunale dei 5 Stelle in Sala Tricolore, pensa che a cambiare debba essere la legge. Per questo dice che proporrà al gruppo pentastellato alla Camera una interrogazione su questa assurdità, eventualmente con l’inserimento di un emendamento nella normativa. In modo che, se l’emendamento dovesse passare, non succeda più che a pagare debba essere il cittadino verso lo Stato, a fronte di un debito dello Stato verso il cittadino. Intanto però l’Agenzia delle Entrate sarà implacabile nel rivendicare un pagamento stabilito dalla legge. Anche senza più Equitalia.

di MIKE SCULLIN