Zona stazione: prostitute, spaccio e vedette in bicicletta

Sicurezza: passeggiata notturna con il comitato di cittadini Cres

Un momento della passeggiata

Un momento della passeggiata

Reggio Emilia, 28 luglio 2017 - LE LORO armi sono un giubbotto catarifrangente, una torcia e, soprattutto, la volontà di scoraggiare coloro che vivono nell’illegalità. Sono, questi ultimi, soprattutto stranieri che li fanno sentire stranieri nel loro quartiere. I cittadini vogliono strapparlo al degrado e alla criminalità e riappropriarsi del diritto, per loro e per le loro famiglie, di potervi passeggiare in tranquillità a qualsiasi ora del giorno. Invece le passeggiate, adesso, nel quartiere della stazione ferroviaria, le fanno almeno in tre-quattro alla volta, quasi ogni sera, per vigilare su cosa succede. È un servizio dopo lavoro, fatto da ormai quattro mesi con senso civico e di aiuto alla comunità, quello di alcuni membri del Comitato Reggio Emilia sicura. In una sera d’estate uniamo i nostri passi e i nostri occhi ai loro, a quelli dei cittadini che da anni convivono con i problemi di sicurezza e degrado in stazione, dove la notte ha davvero mille occhi e nasconde un mondo di attività parallele. Ci addentriamo con tre membri del comitato direttivo, Alessandro Crovetti, Prospero Ferrarini e un professionista reggiano con un lavoro di responsabilità che preferisce rimanere anonimo ma che, ci racconta, «da pantofolaio» che era, ora scende in strada quasi tutte le sere.

In via Chiesi ci mostrano una casa abbandonata «in cui è stato tolto il tetto per evitare di pagare le tasse. Qui gli sbandati vanno a dormire dentro. Non ce l’abbiamo con gli stranieri: ci sono anche loro, tra i nostri membri. Ce l’abbiamo con chi ha ridotto così il nostro quartiere». Come alcuni reggiani, «che hanno lasciato andare le case, le hanno affittate senza farsi scrupoli e trascurato il quartiere, trasformandolo così in un ghetto».

Poco più avanti incrociamo una donna di colore con abiti attillati, probabilmente una prostituta con l’aria di aspettare un cliente. Ma quando vede le pettorine arancio fluo fa bruscamente retromarcia. Un altro uomo di colore, giovane, intanto arriva in bici, ci addocchia e poi se ne va. Abbiamo la sensazione che i due siano collegati: ne avremo la conferma mezz’ora dopo, quando li rivedremo di nuovo in piazza Secchi, questa volta uno accanto all’altro. «Questi uomini di colore controllano i movimenti. Stanno vicino alle donne e le spostano – ci spiegano le nostre ‘guide’ – quando ci vedono o infastidiamo i clienti puntando la torcia contro le loro auto». Passiamo davanti a via Gobetti, dove la cooperativa L’Ovile sta ristrutturando uno stabile a tre piani che ospiterà persone con problemi psichici: «Dicono che saranno dieci, ma la struttura è troppo grande. Temiamo che ne arrivino di più e che si creino ulteriori problemi».

L’ampio spazio di un vasto garage «è usato per buttarvi sopra i lucchetti rotti delle bici rubate». In una laterale, al piano terra, una scena singolare: luci accese e porta aperta, alle 22.30 alcuni cinesi stanno lavorando a pieno ritmo sulle macchine da cucire. Sono forse abusivi? Tra piazzale Marconi e via Turri passano alcune auto della polizia di Stato e della Municipale. Il cancello del parco delle Paulonie dovrebbe chiudere alle 23 da marzo a settembre, recita il cartello: «Invece rimane sempre aperto e qua dentro vengono a fare di tutto, nonostante lo segnaliamo al Comune da un anno. Orinano davanti ai bambini dell’asilo, si ubriacano e spacciano».

Passiamo in via Sani, «con alcune telecamere che puntano in modo sbagliato». In via Turri, all’altezza dei civici 40, due cinesi aspettano i clienti, accanto a un furgone con un uomo che si guarda intorno. Nelle rientranze dei palazzoni vediamo diverse bici cannibalizzate. Più volte vediamo uomini africani in bici passarci accanto, e voltarsi a guardarci e poi telefonare, come a segnalare la nostra presenza. E i nostri compagni di passeggiata, per quanto alti e robusti, non si vergognano di dire che hanno paura: «In due faremmo fatica a girare. Da soli non se ne parla. Ci vorrebbe un censimento esteso a tutte le case. Forse, come successe anni fa anche ad Harlem, si può ancora recuperare il quartiere». La luce delle torce sembra illuminare una prosepttiva nuova, ma quando si spegne, «a notte fonda, tutto torna come prima. Apprezziamo molto l’impegno che stanno profondendo le forze dell’ordine, ma purtroppo tanto resta ancora da risolvere».