Terremoto, Cartier vigile a quattro zampe. "Era l’idolo dei bambini"

Rientrata l’unità cinofila dei vigili del fuoco: "Il golden retriever si è ferito nelle ricerche"

Cartier sulle macerie con Alberto Gazza

Cartier sulle macerie con Alberto Gazza

Reggio Emilia, 30 agosto 2016 - ESCE zoppicando dall’ufficio dei cinofili, Cartier, un bellissimo golden retriever di 5 anni color panna, un muso che lascia trasparire la fatica dei giorni passati.

Ha una fasciatura che gli tutela la zampa posteriore destra, ferita durante le ricerche dei dispersi a Pescara del Tronto, uno dei paesi del marchigiano colpiti dal sisma e che ormai non c’è più. Cartier, insieme al padrone e vigile del fuoco Alberto Gazza, ha operato nei giorni scorsi nelle zone terremotate, con la squadra di altri nove colleghi reggiani, partita poche ore dopo il tragico evento del 24 agosto.

All’interno dell’ufficio della squadra cinofili, il vigile Alberto, ci racconta della sua esperienza fianco a fianco con il «collega» e amico a quattro zampe.

Cartier a Pescara del Tronto
Cartier a Pescara del Tronto

Gazza, com’è la situazione laggiù?

«Pescara del Tronto è un paese fantasma, non esiste quasi più. A occhio e croce di un centinaio di case quelle rimaste in piedi sono due o tre».

Come si è comportato Cartier?

«È stato molto bravo; assieme agli altri cani della nostra direzione regionale ha lavorato davvero tanto e bene. Soprattutto il primo giorno, abbiamo cominciato alle 3 del pomeriggio per concludere la giornata alle 4 di notte. Cartier si è ferito leggermente il secondo giorno di operazioni e ha dovuto interrompere il lavoro, ma ormai avevano localizzato tutti i dispersi. È stato curato da un veterinario del posto messo a disposizione dall’Enpa di zona che ringrazio, mentre la ferita l’ho suturata io qui a Reggio».

Ha aiutato il ritrovamento di qualcuno?

«Sì, insieme all’altro cane Teo, di un collega di Parma, ha segnalato due persone sotto le macerie, ma purtroppo sono state tirate fuori decedute. Invece tra la cinquantina di persone che abbiamo estratto, solo una era viva».

 

La vostra è una vita quasi in simbiosi...

«Sì, tant’è che lui può lavorare solo con me, siamo in completa empatia. Se io sono stanco e stressato lui lo sente benissimo e anche Cartier il secondo giorno era molto provato, come del resto tutti i cani che hanno lavorato là. Adesso ha una malattia di 10 giorni a causa della ferita poi riprenderà le attività solite come la ricerca nei boschi di persone disperse».

Ha avuto modo di incontrare la popolazione insieme a Cartier?

«Al campo degli sfollati lui era al centro dell’attenzione, soprattutto dei bambini che lo coccolavano tantissimo. Ci siamo sentiti proprio come a casa. Ci chiedevano continuamente se avevamo bisogno di qualcosa, portavano il cibo per i cani».

Come lavora Cartier?

«È come un gioco. I cani sentono l’effluvio umano grazie a cellule morte che noi emettiamo nell’aria formando un cono. Li addestriamo fin da piccoli, sempre sotto forma di gioco, facendogli vedere il cibo o manicotti che li stimolano. Poi ci nascondiamo; quando ci trovano abbaiano o cercano di attirare l’attenzione. Per esempio, quando effettuiamo le ricerche e trovano qualcuno di vivo si fermano, abbaiano, ci fanno capire che lì c’è qualcosa. Quando, invece, trovano qualcuno deceduto cominciano a piangere e a girare intorno senza abbaiare».

Che tipo di difficoltà avete incontrato in quelle zone?

«Pescara del Tronto è un paese con strade molto impervie e non è stato facile. Poi con tutta la polvere che c’era a causa del tipo di costruzioni in sabbia, la ricerca viene ridotta davvero a pochissimi minuti, massimo due o tre, perché il naso del cane si riempie di polvere e bisogna darsi il cambio. Invece in Emilia è stato diverso perché lì le case erano più nuove, quindi più facile per i cani».

Ha sentito la telefonata della signora del bolognese che voleva offrire i tortellini ai vigili del fuoco?

«Sì, e posso testimoniare che di telefonate così ne riceviamo molte e sono tra le cose più gratificanti del nostro lavoro».