Reggio Emilia, "il pedofilo ha cercato di zittire mio fratello con un gelato"

Il fratello della vittima: "Mio padre, saputo che lo stupratore era stato liberato, si è sentito male. Il giudice secondo me ha sbagliato ma io sono stato educato al rispetto"

ll fratello della vittima con Roberto Mirabile

ll fratello della vittima con Roberto Mirabile

Reggio Emilia, 26 agosto 2107 - «A poco a poco il mio fratellino si sta riprendendo. Ci hanno consigliato di fargli fare sport e di farlo stare in mezzo ad altri bambini. Vorrei che dimenticasse». Il fratello maggiore del bambino disabile di tredici anni, violentato dal connazionale pakistano Akthar Nabeel, ci accoglie nel suo salotto. Le tapparelle sono calate. C’è penombra. Il ragazzo, un ventenne, sta seduto sul tappeto. Preferisce così. Sopra il divano c’è la stampa di una grande moschea in Pakistan. Nel suo Paese, in questi tredici anni di permanenza in Italia, è tornato una sola volta. 

I genitori sono a fare la spesa. Lui è da poco tornato da una visita medica, a cui ha accompagnato il fratellino. Altre ne dovranno seguire. Dalla finestra si scorge il palazzo dove abitava il pedofilo, ritornato lì prima di trovare, giovedì, un’altra dimora fuori dal paese della Bassa. Si cerca di tornare alla normalità, dopo il terribile fatto avvenuto la sera del 10 luglio. Di fare le solite cose di ogni giorno. Di capire come muoversi sul piano giudiziario. Al sit-in davanti al tribunale di Reggio della sera di giovedì, quando circa trecento persone sono andate alla manifestazione indetta dalla onlus Caramella buona, per protestare contro la decisione del giudice e il sistema che l’ha resa possibile, c’erano anche lui e il padre, mescolati tra la folla. Il presidente della onlus Roberto Mirabile lo ha abbracciato tra la gente.

Come avete saputo della violenza subita dal bambino? «La sera del 10 luglio mio fratello è tornato a casa verso le 21. È andato in bagno, Appariva spaventato, era tutto rosso in viso. ‘Cos’è successo?’, gli ho chiesto. ‘A te non lo dico’, mi ha risposto. ‘Lo dico a mamma e papà’. I miei genitori lo hanno visitato e hanno capito».

Poi suo padre è andato con il bambino dal pedofilo? «Sì. Mio fratello lo conosceva, e anche noi, di vista: ci salutavamo. Abitava qui vicino, insieme a un suo amico. Quando mio padre andava a casa del suo amico, lo salutava. Quando mio padre e mio fratello sono andati da lui, ha ammesso i fatti e ha rimproverato il bambino dicendo che non avrebbe dovuto dire a nessuno ciò che era successo. Nei giorni successivi mio fratello mi ha anche detto che la sera della violenza lui gli aveva offerto anche un gelato,perché non parlasse. Mio fratello è sordo e sente attraverso un apparecchio: quella sera non lo aveva messo. Tuttavia riesce un po’ a capire il linguaggio labiale».

Ora come sta? «Si sta riprendendo, pian piano. Abbiamo ricominciato a fare le lotte, come sempre». Sorride. «È stato ricoverato una settimana all’ospedale e io gli sono sempre stato vicino perché gli voglio molto bene».

Quando ha sentito che il pedofilo era stato lasciato a piede libero, cos’ha pensato? «Mio padre ha avuto una reazione rabbiosa e si è sentito male».

Cosa pensa della decisione del giudice? «Secondo me ha deciso male». 

Vorrebbe dire qualcosa al giudice? «Quando siamo venuti in Italia, tredici anni fa, mio padre si raccomandò con me di comportarmi bene perché altrimenti avrei avuto conseguenze pesanti per la legge. Preferisco, dunque, non dire nulla per una forma di rispetto».

Ha avuto il sostegno della sua comunità? «Sì. I nostri vicini pakistani ci hanno detto che, se avessimo rinunciato noi a chiedere giustizia, lo avrebbero fatto loro al posto nostro».

E di altre persone? «Sulla mia pagina facebook ho espresso contrarietà per la decisione del giudice. Ho avuto tanti commenti. Alcuni reggiani mi hanno scritto che si vergognavano di essere italiani»

Lei ha ancora fiducia nella giustizia italiana? «Sì. Dico solo che non è giusto quel provvedimento».

Lei o la sua famiglia avete mai incrociato in questi giorni per strada il pedofilo? «Per fortuna no. Era anche venuto a chiedere scusa a mio padre, nei giorni dopo l’abuso. Mio padre gli ha chiesto cos’era venuto a fare. Io gli ho detto di chiudere la porta. La sua casa era lì, a pochi metri». La indica. 

Libertà a parte, cos’ha pensato quando il pedofilo è tornato nella sua casa? «Che non distava neppure i duecento metri da casa mia richiesti dal giudice. E che il giudice non si sia informato».

Si affiderà a un avvocato per chiedere un risarcimento? «Ancora non abbiamo deciso. Potremmo valutare di affidarci alla Caramella buona».

Lei ha deciso di partecipare al sit-in davanti al tribunale. Come ha trovato la forza di uscire di casa e unirsi alla gente? «Mi ha invitato un amico italiano. ‘Devi esserci anche tu’, mi ha detto. Mi sono sentito aiutato. Spero che possa servire non solo per mio fratello, ma anche per gli altri bambini».