Omicidio Rombaldi, il pm: "Nuovo esame sui proiettili inchioda l'ex vigile"

Il 4 novembre processo in assise d’appello. Chiesta nuova perizia La difesa: «L’appello si fa con gli elementi del primo processo»

UCCISO SOTTO CASA La scena dell’omicidio. Nel tondo, Pietro Fontanesi

UCCISO SOTTO CASA La scena dell’omicidio. Nel tondo, Pietro Fontanesi

Reggio Emilia, 9 ottobre 2015 - Accusa - in appello verrà sostenuta dal sostituto procuratore generale Giancarlo Di Ruggiero - e difesa - gli avvocati Giancarlo e Giovanni Tarquini, padre e figlio - tornano ad affilare le armi. Il 4 novembre, infatti, prenderà il via a Bologna il processo in corte d’assise d’appello all’ex vigile urbano Pietro Fontanesi, 72 anni, assolto poco più di un anno fa in primo grado (con formula dubitativa, fa osservare l’accusa, con formula piena secondo la difesa) dall’accusa di omicidio volontario del chirurgo del Santa Maria Carlo Rombaldi, l’8 maggio 1992 di notte nel garage sotto casa in via Fabio Filzi. A ricorrere contro la sentenza della corte d’assise reggiana - presieduta da Francesco Maria Caruso - è stato il pubblico ministero, Maria Rita Pantani, che aveva chiesto la condanna di Fontanesi all’ergastolo.

Leggendo il ricorso si apprende un fatto nuovo, sulla base del quale il pm Pantani chiede alla corte d’assise d’appello che venga effettuata una nuova analisi balistica. Lo scopo, per il pm: portare «all’identificazione dell’arma già posseduta dall’imputato con l’arma del delitto». Sulla comparazione tra ogive e pistola sono già state compiute nel primo processo due perizie balistiche con tredici periti e consulenti, ed entrambe hanno dato esito negativo. Non potendosi affermare che la calibro 38 già di Fontanesi avesse esploso i sei colpi, è caduta la prova regina. Conclusioni per il pm Pantani «totalmente errate».

Ma qual’è la novità? Nelle more della redazione dell’appello, riferisce la pm, la polizia scientifica di Roma ha svolto un «nuovissimo esame comparativo» su due proiettili (R1 e R4), che avrebbe permesso di osservare «due impronte di slittamento in righe contigue, perfettamente coincidenti tra loro quanto a posizione e morfolgia». In pratica, nell’analisi al microscopio, grazie a quella scoperta sarebbero stati allineati «correttamente» i proiettili reperto e la stessa circostanza sarebbe emersa sui proiettili test sparati per prova. Vorrebbe dire, per la Scientifica, che lo sparo sarebbe avvenuto «con un’arma che presenta il medesimo disallineamento tra l’asse del tamburo e l’asse della canna». E’ un passaggio fondamentale, secondo la procura che ritiene di demolire così le precedenti perizie balistiche su un fatto preciso: l’avere eseguito le comparazioni coi proiettili test utilizzando il solo proiettile R1 su cui si era individuata una sola impronta di slittamento e non due, «tralasciando completamente il proiettile R4: tale aspetto - scrive il pm Pantani - è di estrema importanza».

La dottoressa Pantani entra nel merito delle ulteriori valutazioni degli indizi (il «compendio probatorio») da parte della corte d’assise ritenendole errate, e sostiene vi siano elementi tali da portare a ritenere «al di là di ogni ragionevole dubbio, che l’imputato sia l’assassino». A tutto ciò va ad aggiungersi l’appello del sostituto procuratore generale Di Ruggiero. Il prossimo pm d’udienza scrive tra l’altro che non deve essere sottovalutata l’esternazione espressa da Fontanesi al collega vigile urbano Stefano Caroni sulla vittima. In aula Caroni raccontò che Fontanesi gli aveva detto: «Il povero dottor Rombaldi era una persona arrogante perchè quando rientrava a tarda ora non aveva rispetto dei condomini in quanto entrava a forte velocità per portarsi verso il garage, sgassando con l’auto». E il pg valuta contraddittoria la dichiarazione resa dall’imputato, «circa il fatto che egli stesse guardando la tv con cuffie audio al momento dell’omicidio e il non aver udito rumori identificabili come spari» senza ‘vedere’ il frastuono. Senza contare che l’uso di cuffie - scrive il pg - «risulta negato dalla sorella dell’imputato».

«INORRIDISCO». L’avvocato Giovanni Tarquini è allibito: «Al giudice d’appello - spiega - vanno forniti gli stessi identici elementi su cui si è fondata la decisione della corte d’assise di primo grado. In caso contrario, se c’è stata una nuova attività di indagine, va fatto un nuovo processo, si riparte da capo, altrimenti non è più un secondo grado di giudizio». La difesa di Pietro Fontanesi ha fatto due appelli. Uno sulla condanna a nove mesi per detenzione di munizionamento, «ricordi del passato e non certo pericolosa». L’altro, incidentale, per chiarire davanti al giudice di secondo grado, ossia la corte d’assise d’appello, la formula di assoluzione in senso totalmente positivo per l’ex vigile. Tutto nasce da due diverse interpretazioni. 

NEL DISPOSITIVO della sentenza, spiega il legale, non compare il secondo comma, che è quello del non raggiungimento della prova, e quindi per la difesa è un dispositivo di assoluzione piena. E aggiunge: «Tutte le altre cose indiziarie sono state puntualmente smentite dalla corte di primo grado e noi lotteremo per fare in modo che anche la corte d’assie d’appello si accorga della loro totale infondatezza: non sono nemmeno indizi, sono congetture».