Brescello difende il suo sindaco, il video: "La mafia? Come altrove"

Dopo oltre un anno, il Pd molla Coffrini VIDEO Ecco cosa pensa la gente

Il sindaco di Brescello Marcello Coffrini

Il sindaco di Brescello Marcello Coffrini

Brescello (Reggio Emilia), 19 gennaio 2016 - «Chi, il sindaco? Per me è sempre stato Marcello, Marcello e basta. Un bravo ragazzo. L’ho visto nascere. Lo conosco da quand’era piccolo. Andavo a scuola con il babbo. La colpa non è sua, è di chi c’era prima. Se voglio dire del padre Ermes che ha governato per 19 anni? No no, prima prima». Decine di domande, la stessa risposta. Detta con accento calabrese, ripetuta con calata emiliana doc. Da sinistra e «da destra assoluta, che se ci fosse ancora Benito gli darei il voto». Il sindaco non si deve dimettere, si dimettano quelli del Pd casomai.

Pochissime le eccezioni. La piazza di Brescello (video) ha deciso: Marcello Coffrini – sostenuto dai dem ma senza tessera – non farà la fine di Ignazio Marino. Anche se il partito, in paese e in provincia, gli ha già dato lo sfratto. Deve lasciare, ha sentenziato il Pd, dopo averci pensato per quindici mesi, inseguendo Grillo e anticipando il verdetto del prefetto, che dovrà dare un parere al ministro Alfano.

Perché la Brescello di don Camillo e Peppone – il set dei film capolavoro ricordati ovunque, musei strade negozi – potrebbe diventare il primo Comune dell’Emilia Romagna sciolto per infiltrazioni mafiose. Le indiscrezioni dicono: finisce male. Senza aspettare quel giorno – anzi per evitare quell’onta –, mezza giunta e due consiglieri piddì hanno detto addio. Meglio far cadere l’amministrazione che dover fare i conti con quel marchio appiccicato al paese.

Ma Coffrini, sindaco-avvocato, ieri sera ha incontrato i suoi e ha strappato la maggioranza, sei consiglieri su otto lo sostengono. Più prudente sul futuro. Si era detto pronto a ricorrere al Tar o al Consiglio di Stato, in caso di scioglimento. Ora sfuma: «Prematuro decidere ora, vedremo. Intanto aspetto la decisione del prefetto». E sulla mafia: «Qui vivono soggetti condannati e indagati. Non vuol dire che il paese sia mafioso. Ma la mafia sul nostro territorio è acclarato ci sia, a Brescello come in molti altri comuni».

Riavvolgendo il nastro: a settembre 2014 la videoinchiesta del collettivo Cortocircuito. «Gentilissimo, uno molto tranquillo, molto composto, educato». Così il sindaco aveva dipinto il suo concittadino Francesco Grande Aracri, condannato con sentenza definitiva per associazione mafiosa, milioni di beni sequestrati riconducibili a lui, fratello del boss Nicolino al centro dell’inchiesta Aemilia. Franco Lonetti, piccolo artigiano edile, calabrese, accetta di parlare con nome e cognome e lo descrive quasi con le parole che aveva usato la prima volta il sindaco, «una persona educatissima».

Aggiunge: «La condanna? Non cambia il giudizio. A me non ha fatto del male. Se in paese la mafia esiste? A noi non ha mai dato fastidio nessuno». Un brescellese condivide «fino a un certo punto». Un calabrese ride, «la ’ndrangheta cos’è, un complesso folcloristico?». Se suoni a casa di Francesco Grande Aracri, nel quartiere dei cutresi, lui risponde con voce stentorea: «Chiedo una conferenza stampa, per dire la verità su quel che succede qui!».

Bisogna arrivare alla terza ora di domande in paese, chiedere a due amiche pensionate sedute al bar per sentir criticare Coffrini. La prima: «Che uno sia educato non vuol dire niente». La seconda: «Il sindaco è stato scriteriato». La terza voce ‘stonata’ è quella di un commerciante, tesserato Pd: «Si deve dimettere». Lo salva invece Abdon Boni, che si traveste da don Camillo in tutta Italia: «Lui ha sbagliato, ma dargli addosso così...».

Altri si tirano fuori: «Ci facciamo i fatti nostri». Un sessantenne conclude: «Sì, Brescello è fatto così, vivi e lascia vivere. La gente sa che c’è la mafia. Però non ci tocca. Loro fanno i loro affari e noi facciamo i nostri».