Si trasforma in detective per inchiodare lo stalker

«Mi facevo seguire e intanto telefonavo al 112»

PERSECUZIONE La prima denuncia è del 2013, ma l’incubo era già iniziato  da almeno 4 anni

PERSECUZIONE La prima denuncia è del 2013, ma l’incubo era già iniziato da almeno 4 anni

Reggio Emilia, 21 marzo 2015 - Dovevano celebrarlo due settimane fa questo processo per stalking. Era il testimonial giusto per la festa delle donne. Un racconto allucinante, uscito dalle labbra della vittima che piangendo ha spiegato cosa significa avere un marito manesco per gelosia, alcolizzato e tossicomane; e cosa significa avere a che fare con lui dopo la separazione. Anni di pedinamenti, un’ossessione che la misura del divieto di avvicinamento non aveva eliminato. Una vita devastata, chiusa in casa sei mesi. Oltre ai pesantissimi danni patromoniali.

La donna - assistita dall’avvocato Paolo Bertozzi, in passato si era rivolta alla Casa delle donne - ha presentato la prima denuncia nel 2013 ma la persecuzione era cominciata almeno quattro anni prima quand’era sposata e sono proseguiti dopo. Ieri la prima udienza. L’imputato non era in aula: rischia fino a sei anni di carcere. Lo difende l’avvocato Marco Pinotti. Il giudice è Andrea Rat. Prossima udienza il 6 maggio. Dei protagonisti non riveliamo il nome per tutelare i figli minorenni. Giudice e pm hanno chiesto alla donna perché non avesse denunciato prima.

«Perché servono le prove - ha spiegato - e quando me lo vedevo intorno ero sempre da sola». Ma la vittima, giunta all’esasperazione, si è poi trasformata in detective. Succede nel febbraio di un anno fa. «In tutti questi anni - ha detto - mi sono abituata a guidare con gli occhi puntati allo specchietto retrovisore. Lo vedo in via Emilia. Accosta. Mi fermo, scendo e chiamo il 112. Entro in un negozio, acquisto un ombrello, esco e fuggo per la via Emilia. E di nuovo lo vedo, due o tre auto dietro la mia». La donna a questo punto del racconto è scoppiata in lacrime. «Si fermi un attimo» l’ha rassicurata il giudice.

Poi ha ripreso: «Quel giorno ho deciso di non andare a casa e di farmi seguire apposta, per vedere dove sarebbe arrivato. Tanto sapevo che sarebbe arrivato fino alla fine. Resto al telefono in diretta col 113, spiego tutto, mi chiedono se sono in pericolo, dico di no ma che mi segue. Arrivo al McDonald’s, mi fermo. Si ferma anche lui ed ecco sopraggiungere tre pattuglie della polizia. Gli agenti entrano al McDonalds’s, lo prendono e lo portano via». Una volta l’ex moglie si mise a fotografare lo stalker con il cellulare. Cercava di nascondersi dietro una siepe. Lei scriveva le ore dei passaggi, memorizzava gli sms, accumulava prove su prove. Si può vivere così? La condizione insopportabile cui questa tortura l’ha costretta ha indotto il medico a prescrivere ansiolitici e benzodiazepine contro tachicardia e ansia. «Di non notte non riesco a dormire. Ho ripianato i suoi debiti, 44mila euro, e ora mi stanno pignorando la casa». Aveva un posto in un’azienda, la stessa in cui lavorava il marito. Prima hanno denunciato lui accusandolo di essersi appropriato di denaro, poi hanno licenziato lei: «Sono stata la prima a pagare, per quello che è successo». Nella causa di separazione consensuale, al punto 5, lui si era impegnato a non telefonarle mai più. Si è visto cos’è successo dopo. E non c’è ancora stato il divorzio: ecco, questa storia potrebbe essere presa a modello da chi in Parlamento si batte per il divorzio breve.